La cointestazione di un conto corrente bancario – nel caso specifico, tra zio e nipote – non configura una donazione indiretta, se non c’è la prova che si tratti di una operazione fatta per spirito di liberalità (Tribunale di Ivrea, sentenza n. 614 dell'8 luglio 2016).
Secondo il Tribunale, «la mera cointestazione di un conto corrente bancario a favore di un altro soggetto diverso da quello che effettua il versamento delle somme non integra di per sé un atto di liberalità a favore del cointestatario, a meno che non venga riscontrata l'esistenza dell'animus donandi»; ciò che accade se «il proprietario del denaro già esistente sul conto non avesse altro scopo che quello di liberalità» e non quando, le finalità della cointestazione siano state di carattere «squisitamente pratico per operare sul conto» o di «altra natura».
Secondo il Tribunale, la donazione indiretta «consiste nell'elargizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico dell'art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l'effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l'arricchimento animo donandi del destinatario»; «il semplice versamento di denaro in un conto corrente cointestato a firme disgiunte può essere qualificato come una liberalità, qualora sia verificata l'esistenza dell'animus donandi (Cass. n. 26983/2008)». La cointestazione «fa presumere la contitolarità dell'oggetto del contratto (art. 1298, comma 2, c.c.), ma tale presunzione dà luogo soltanto all'inversione dell'onere probatorio e può essere superata attraverso presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti) dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (n. 28839/2008)».
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Ultima Modifica: 05/12/2016