Il nostro diritto ereditario (e cioè l’insieme delle regole che si applicano per destinare il patrimonio di un defunto ai suoi successori) è sicuramente uno dei settori del nostro ordinamento in cui più si riflette il “peso” della tradizione: si tratta infatti di regole che hanno le loro radici in secoli lontani e che, assai ancorate appunto a valori “tradizionali”, ancor oggi da taluno molto sentiti, meno di qualsiasi altra regola si prestano a sollecitare istanze di cambiamento.
Il nostro diritto ereditario infatti non è ancora pronto ad esempio a contemplare le “pretese” (che ormai appaiono inevitabili) di parificazione della famiglia “tradizionale” alle “nuove” famiglie, in specie alle unioni “di fatto” tra soggetti non formalmente coniugati (e basti qui limitarsi a pensare alle unioni eterosessuali, senza “giungere” a dover valutare il caso della convivenza tra gay): infatti, l’aver formato un nucleo stabile, anche per moltissimi anni, non formalizzato però da una celebrazione matrimoniale, non rappresenta ancora per la nostra legislazione un presupposto per poter invocare l’applicazione, anche al convivente superstite, delle medesime garanzie e dei medesimi benefici di cui invece gode il “vero e proprio” coniuge superstite.
Inoltre, un grande pedaggio alla tradizione è a tutt’oggi pagato dalle regole della successione “necessaria”: vale a dire dalle regole in base alle quali un soggetto, durante la propria vita, deve tener conto che le liberalità dal medesimo effettuate (mediante donazioni o mediante testamento) possono essere appunto contestate dai suoi eredi “necessari” (e cioè il coniuge superstite e i suoi discendenti) qualora esse superino certe proporzioni (rispetto alla complessiva entità del patrimonio del defunto in cui subentrano appunto, per donazione o per successione, gli eredi necessari).
Le regole della successione necessaria sono invero il derivato di una concezione che mira a massimizzare la tutela dei più stretti congiunti (che in nessun caso – e nemmeno nel caso di liti gravissime – possono essere “diseredati” dal de cuius), con ciò sacrificando quel che spesso appare essere il legittimo desiderio di una persona di beneficiare con regalie (durante la propria vita o dopo la propria morte) coloro che più se lo sono “meritati” (e non solo o soltanto coloro che hanno un più o meno formale rapporto di coniugio o di parentela).
Ultima Modifica: 04/07/2006