La comunione legale non si estende al reddito conseguito da ciascuno dei coniugi per l’attività lavorativa svolta durante il matrimonio: il legislatore non ha infatti voluto che le regole della comunione (e in particolare la regola della necessità di una decisione comune per le operazioni di straordinaria amministrazione) si estendessero a ciò che è frutto del lavoro separato di ciascun coniuge.
Peraltro, questa considerazione va “temperata” con due altri rilievi:
1) se il reddito di ciascun coniuge viene impiegato in “acquisti”, allora scatta la regola generale in base alla quale tutto ciò che è acquistato durante il matrimonio (dai coniugi insieme o da ciascun coniuge separatamente l’uno dall’altro) viene per ciò stesso assoggettato al regime di comunione legale (indipendentemente dalla provenienza del denaro impiegato);
2) se il reddito non viene impiegato in “acquisti” (notando che per “acquisto” si intende anche quello di strumenti finanziari: come fondi comuni, azioni, obbligazioni, eccetera) ma viene tenuto “a disposizione”, ad esempio messo in giacenza in un conto corrente, la legge vuole che il denaro che residua nel momento in cui la comunione si scioglie divenga in quel momento comune ad entrambi i coniugi (è la cosiddetta “comunione di residuo”).
Ultima Modifica: 04/07/2006