Per avvalersi dei benefici “prima casa”, l’acquirente deve dichiarare <<di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge>> con le agevolazioni “prima casa”.
Per valutare la portata della norma in questione, vediamo questo esempio: Caio e Tizia sono coniugi in separazione dei beni; Caio, non proprietario di alcunchè, intende comprare una casa, intestandosela per intero. Tizia, prima del matrimonio, ha acquistato una casa con i benefici “prima casa”.
Mentre dunque chi non è sposato deve ovviamente guardare solo al proprio patrimonio, per verificare di non avere la titolarità di diritti reali acquistati con le agevolazioni, dalla stipulazione di un matrimonio parrebbe derivare dunque l’effetto negativo che, per verificare la spettanza dell’agevolazione, occorre guardare non solo al proprio patrimonio, ma anche al patrimonio del coniuge.
Nel nostro esempio, quindi, Caio dovrebbe innanzitutto verificare di non possedere immobili acquistati con le agevolazioni “prima casa”; ma se un soggetto non sposato terminerebbe qui la propria indagine, un soggetto sposato (anche legalmente separato) dovrebbe compiere una indagine (che in alcuni casi potrebbe anche essere non facile) pure nel patrimonio del proprio coniuge per sapere se questi possieda, in ogni dove del territorio nazionale, case acquistate con agevolazioni.
Se questa fosse l’interpretazione esatta, la norma in commento apparirebbe sorprendente perché ingiustificatamente discriminatoria di chi è sposato rispetto a chi non lo è e pure perché disincentiva di fatto l’istituto matrimoniale. Allora, da questa possibile interpretazione dirompente scaturisce un forte richiamo a cercare altri percorsi interpretativi, che paiono non difficili da compiere.
Basti pensare che la norma in commento impedisce l’ agevolazione “prima casa”, tra l’altro, anche a chi abbia fatto acquisti agevolati “in comunione legale”. Allora, è ben possibile immaginare il caso di un coniuge che non risulti formalmente intestatario di una casa (che pur sostanzialmente gli appartiene per effetto del regime di comunione legale) per non aver fisicamente partecipato al rogito d’acquisto: infatti, per realizzare un acquisto soggetto al regime di comunione legale, l’acquisto può essere compiuto separatamente da uno solo dei coniugi.
Allora, se Mevio, coniuge di Sempronia, non ha partecipato al rogito con cui Sempronia (durante il matrimonio) ha acquistato una casa, egli non ne risulta intestatario formale (la nota di trascrizione nei Registri Immobiliari si compila solo a nome del coniuge che partecipa all’atto, seppur segnalando che si tratta di un acquisto in comunione), ma ne è comunque divenuto contitolare per effetto del regime di comunione.
E’ allora ovvio che se Mevio compra un’altra casa, volendo intestarla solo a sé medesimo (cioè fuori dal regime di comunione legale), egli trovi un limite nell’avvalersi delle agevolazioni “prima casa” dal fatto che dette agevolazioni siano state già “spese” per il precedente acquisto in comunione. Ma non appare invece giusto che se le agevolazioni nell’acquisto precedente siano state godute solo da Sempronia (ad esempio perché si tratta di coniugi in separazione dei beni oppure si tratti di un acquisto prima del matrimonio), Mevio debba essere pregiudicato nei propri acquisti da quelli fatti dalla moglie stand alone.
In conclusione, l’interpretazione aberrante per cui la norma in commento impedirebbe a un coniuge i benefici “prima casa” se l’altro coniuge ne abbia già goduto, può essere superata ritenendo che i benefici siano preclusi solo quando il coniuge che intende effettuare il nuovo acquisto abbia goduto dei benefici stessi in un precedente acquisto cui egli non abbia formalmente partecipato ma che abbia prodotto vantaggi a suo favore per effetto del regime di comunione legale.
Ultima Modifica: 01/07/2006