Il diritto ereditario è l’insieme delle regole che si applicano per destinare il patrimonio di un defunto ai suoi successori: si può trattare di una successione “testamentaria” (nella quale cioè i beneficiari sono individuati dal de cuius con un testamento) oppure di una successione “legittima” (nella quale cioè l’ individuazione dei successori, non effettuata mediante testamento o effettuata solo in parte, avviene secondo quanto dispone il codice civile, il quale prevede il subentro dei più stretti congiunti, con la regola secondo cui quello di grado più prossimo esclude quello di grado più remoto.
Innovazione e tradizione. Il diritto successorio è sicuramente uno dei settori del nostro ordinamento in cui più si riflette il “peso” della tradizione: si tratta infatti di regole che hanno le loro radici in secoli lontani e che, assai ancorate appunto a valori “tradizionali”, ancor oggi da taluno molto sentiti, meno di qualsiasi altra regola si prestano a sollecitare istanze di cambiamento.
Il nostro diritto ereditario infatti non è ancora pronto ad esempio a contemplare le “pretese” (che ormai appaiono inevitabili) di parificazione della famiglia “tradizionale” alle “nuove” famiglie, in specie alle unioni “di fatto” tra soggetti non formalmente coniugati: infatti, l’aver costituito un nucleo stabile, anche per moltissimi anni, non formalizzato però da una celebrazione matrimoniale, non rappresenta ancora per la nostra legislazione un presupposto per poter invocare l’ applicazione, anche al convivente superstite, delle medesime garanzie e dei medesimi benefici di cui invece gode il “vero e proprio” coniuge superstite.
Inoltre, un grande pedaggio alla tradizione è a tutt’oggi pagato dalle regole della successione “necessaria”: vale a dire dalle regole in base alle quali un soggetto, durante la propria vita, deve tener conto che le liberalità dal medesimo effettuate (mediante donazioni o mediante testamento) possono essere appunto contestate dai suoi eredi “necessari” (e cioè il coniuge superstite e i suoi discendenti) qualora esse superino certe proporzioni (rispetto alla complessiva entità del patrimonio del defunto in cui subentrano appunto, per donazione o per successione, gli eredi necessari).
Le regole della successione necessaria sono invero il derivato di una concezione che mira a massimizzare la tutela dei più stretti congiunti (che in nessun caso – e nemmeno nel caso di liti gravissime – possono essere “diseredati” dal de cuius), con ciò sacrificando quel che spesso appare essere il legittimo desiderio di una persona di beneficiare con regalie (durante la propria vita o dopo la propria morte) coloro che più se lo sono “meritati” (e non solo o soltanto coloro che hanno un più o meno formale rapporto di coniugio o di parentela).
La tranquilla circolazione dei beni donati. Le regole del nostro diritto ereditario sono dunque fondate sul principio della non comprimibilità, mediante contratto, della libertà di disporre dei propri beni dopo la propria morte (attività che è effettuabile solo mediante testamento, atto revocabile per definizione) e sul principio della tutela assoluta dei legittimari, cioè di coloro che, essendo stretti congiunti del de cuius, ereditano “necessariamente” una cospicua quota del suo patrimonio: ogni altro interesse viene quindi subordinato a questa tutela della libertà testamentaria e dei diritti dei familiari di grado più prossimo.
Oggigiorno, tuttavia, si sta assistendo al fenomeno della selezione di tutta una serie di interessi che sono ritenuti sempre più prevalenti rispetto ai principi tradizionali che caratterizzano la nostra legislazione ereditaria: ad esempio, ha già trovato recente riconoscimento legislativo (d.l. 35/2005, convertito in legge 80/2005), in deroga al principio della tutela assoluta dei legittimari, l’interesse alla “tranquilla” circolazione dei beni oggetto di una donazione stipulata da più di 20 anni.
La successione nelle imprese. Un altro interesse da molti anni ormai comunemente ritenuto degno di grande attenzione e tale da permettere di pensare a una deroga ai principi tradizionali sopra richiamati è poi quello dell’ imprenditore a concordare, durante la propria vita, con i suoi familiari, le regole da applicare per la successione nella proprietà e nella guida dell’ impresa di famiglia: si tratta, in altri termini, della scelta di coloro che si ritengano idonei a capitanare l’impresa dopo la morte dell’attuale titolare e della correlativa necessità di compensare gli altri familiari con attribuzioni di valore equivalente.
Da tempo giacciono in Parlamento diversi progetti di legge su queste tematiche: in particolare, si persegue l’intento, regolando la materia dei cosiddetti “patti d’impresa”, di superare, almeno con riguardo alla destinazione dell’impresa di famiglia, il divieto dei patti successori (contenuto nell’articolo 458 del nostro codice civile), il quale invero fulmina oggi di nullità assoluta qualsiasi pattuizione volta a organizzare la successione di un dato soggetto così come qualsiasi attività giuridica abbia ad oggetto la disposizione di diritti derivanti da una successione che ancora si deve aprire oppure che comporti rinuncia all’acquisizione dei diritti che possono spettare su una successione ancora da aprire.
Ultima Modifica: 04/07/2006