Il trust "interno" è valido (a meno che non abbia intenti abusivi o fraudolenti), non contrasta con norme imperative e con principi di ordine pubblico e ha l'effetto di segregare i beni del trust rispetto al restante patrimonio del trustee: è quanto ha deciso dal Tribunale di Bologna in una sentenza del 1° ottobre 2003.
Non è difficile immaginare che qualsiasi trattazione del trust non potrà più prescindere da questa sentenza: seppur si tratti di una pronuncia di merito, inevitabilmente la natura contenziosa del giudizio che questa sentenza definisce e l'ampio e approfondito spettro delle argomentazioni addotte a sostegno della decisione ne fanno indubbiamente un precedente imprescindibile.
Se, dunque, molte sono state le decisioni giudiziarie favorevoli al trust (si veda un ampio panorama sul Sole-24 Ore del 6 ottobre 2003), questa indubbiamente fa compiere all'ammissibilità dei trust "interni" un cammino di non ritorno. Vediamo qui di seguito i principali aspetti della decisione bolognese.
La Convenzione dell'Aja abilita anche i trust interni. Se in Italia può "operare" un trust costituito all'estero con riguardo a beni situati in Italia e soggetti di nazionalità italiana, costituirebbe un'incomprensibile disparità di trattamento la conclusione secondo cui in Italia quello stesso trust non potrebbe essere istituito.
Il trasferimento dal disponente al trustee non è un negozio astratto. La nullità che deriverebbe dall'astrattezza viene negata con la considerazione che il trasferimento trova evidentemente causa nel negozio istitutivo del trust.
La legge straniera applicabile al trust può rappresentarne l'unico elemento di internazionalità. Un'importante critica alla validità del trust è quella per la quale secondo la Convenzione dell'Aja sarebbero riconoscibili solo i trust che presentino elementi di internazionalità ulteriori rispetto alla legge applicabile (mancando in Italia una legge sul trust, occorre che per il trust istituito in Italia sia prescelta una legge regolatrice propria di un Paese che abbia una disciplina del trust).
La sentenza con un'approfondita motivazione afferma la sufficienza dell'unico elemento di internazionalità rappresentato dalla legge applicabile.
Il trust legittimamente crea un patrimonio separato. Una delle obiezioni più ricorrenti alla sua validità è quella secondo cui il trust determinerebbe un'infrazione alle disposizioni dell'articolo 2740 del Codice civile circa la responsabilità del patrimonio del debitore verso i suoi creditori, con tutti i suoi beni presenti e futuri, salvo i casi in cui la legge dispone la "dedicazione" di certe aree del patrimonio di un dato soggetto alla soddisfazione di finalità "particolari".
Secondo il Tribunale di Bologna, è proprio nella Convenzione dell'Aja che va rinvenuta l'abilitazione legislativa alla creazione della separazione patrimoniale che il trust determina in capo al trustee, per distinguere i beni oggetto di trust dai propri.
Il trust introduce in Italia una nuova forma di proprietà (o di appartenenza). I beni conferiti in trust non entrano nel patrimonio del trustee se non per la realizzazione dello scopo indicato dal settlor e col fine di restare separati dai suoi averi (pena la mancanza di causa del trasferimento).
Pertanto, non può parlarsi di acquisizione al patrimonio del trustee di detti beni: si tratta, insomma, di una proprietà "qualificata" o "finalizzata", introdotta dalla Convenzione dell'Aja in aggiunta a quella conosciuta dal nostro Codice civile (ove, peraltro, già sono previste situazioni analoghe, quali il beneficio d'inventario, il mandato senza rappresentanza, la rendita vitalizia nei limiti del bisogno alimentare del beneficiario, il fondo patrimoniale, i fondi speciali per la previdenza e l'assistenza eccetera e, da ultimo, i patrimoni "destinati" di cui alla recente riforma del diritto societario).
La legislazione "speciale", inoltre, è densa di casi di patrimoni separati: gli strumenti finanziari detenuti dall'intermediario finanziario (articolo 22 del D.lgs. 58/98), i fondi pensione (D.lgs. 124/93 come riformato dalla legge 335/95), i crediti cartolarizzati (articoli 3 della legge 130/99 e 13 della legge 448/98) e, infine, la legge sulla privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico (articolo 2 della legge 410/01).
É chiaro che ove il trust sia istituito al dimostrato fine di eludere norme imperative inderogabili o norme di applicazione necessaria, oppure quando gli effetti appaiano in contrasto con l'ordine pubblico (si pensi a intenti fiscalmente fraudolenti o allo scopo di eludere, ad esempio, la normativa sulla tutela degli eredi legittimari), il trust è suscettibile di nullità.
Non in quanto istituto non riconoscibile dal nostro ordinamento, ma perché, seppur si tratti di istituto pienamente legittimo, esso sia stato "piegato" a finalità illecite.
Stralcio della sentenza del Tribunale di Bologna sull'ammissibilità del trust nell'ordinamento giuridico italiano
"Può ritenersi ampliamente superata la tesi che prospetta la contrarietà all'ordinamento italiano del trust e la sua conseguente irriconoscibilità: ne danno conferma sia il vivace dibattito dottrinale nel quale la stragrande maggioranza degli autori si è schierata su posizioni favorevoli all'istituto, sia le numerose pronunce giurisprudenziali, che, quasi unanimamente, hanno risolto in senso positivo la questione della compatibilità col nostro ordinamento.
Non è revocabile in dubbio, infatti, che gli Stati firmatari della Convenzione hanno espressamente convenuto di stabilire "disposizioni comuni relative alla legge applicabile ai trust" dimostrando quindi di considerare l'istituto, sia pure per il tramite delle disposizioni suddette, non incompatibile con gli ordinamenti interni. In altri termini, sostenere che il trust è inconciliabile col diritto positivo italiano non ha significato perché, per addivenire a tale conclusione, bisognerebbe affermare che tutta la legge 16 ottobre 1989, n. 364, si ha per non scritta.
Sarebbe paradossale che l'ordinamento italiano volesse pervenire al riconoscimento in Italia di trust istituiti da stranieri con legge straniera aventi ad oggetto beni siti in Italia e, al contrario, intendesse disconoscere trust aventi le medesime caratteristiche costituiti dai propri cittadini.
Se questa fosse la soluzione voluta dal legislatore, essa presterebbe il fianco a rilievi di incostituzionalità . A ciò si aggiunge che l'analisi compiuta sulle disposizioni non può prescindere dalla comprensione delle finalità che si è proposto il nostro Paese ratificando la Convenzione dell'Aja : se l'Italia ha sottoscritto (come primo Paese di civil law) la Convenzione sul trust è, nella sostanza, per accrescere la propria capacità di attrarre investimenti dall'estero; tale scopo sarebbe evidentemente frustrato se proprio i cittadini italiani, per potere godere dei benefici tipici dell'istituto dovessero istituire i propri trust in Paesi stranieri (utilizzando, quale elemento di estraneità, la residenza del trustee) così trasferendo all'estero la gestione e amministrazione di capitali e immobili."
Ultima Modifica: 14/03/2006