Con la morte di una persona fisica, si “apre” dunque la sua successione e si tratta di individuare chi sono coloro che subentreranno nel patrimonio del defunto.
Se c’è testamento, i beneficiari sono i soggetti che il testatore stesso ha indicato; se non c’è testamento (o se il testamento dispone solo di parte del patrimonio ereditario), l’indicazione dei beneficiari è fatta dalla legge (la quale punta l’obiettivo sui congiunti più stretti, con la regola che quelli di grado più prossimo sono preferiti a coloro di grado più remoto).
Coloro che sono indicati dal testamento o dalla legge come beneficiari del patrimonio ereditario tuttavia non lo acquisiscono per effetto della “semplice” apertura della successione: essi infatti si dicono “chiamati” all’eredità e diventano invece “eredi” veri e propri una volta che essi abbiano effettuato l’accettazione dell’eredità.
Divenire eredi di un defunto è infatti una situazione che richiede il consenso di colui che è “chiamato” all’eredità: a parte i possibili profili meramente “morali” che potrebbero indurre a non divenire eredi di un certo soggetto (di cui qui non ci occupiamo), vi sono da affrontare anche notevoli problemi prettamente “giuridici”.
Infatti, chi diviene “erede” (a meno che non si ripari con il “beneficio d’inventario”) risponde dei debiti ereditari con tutto il proprio patrimonio, e ciò anche oltre il valore dell’attivo ereditario, e quindi la scelta di divenire erede deve essere ben ponderata.
Diverso invece è il discorso per il legato: visto che il legatario mai può essere tenuto a pagare i debiti ereditari con il proprio patrimonio personale, e quindi visto che l’acquisizione del legato costituisce una situazione normalmente favorevole, la legge dispone che il legato venga acquisito dal legatario per il solo fatto dell’apertura della successione, senza necessità di una sua accettazione (fermo restando che il legatario può sempre comunque rinunciare al legato, se non gli interessa conseguire quanto disposto a suo favore).
La legge prevede diverse metodologie di accettazione dell’eredità: l’accettazione “espressa”, l’accettazione “tacita” e l’accettazione per effetto del possesso dei beni ereditari protratto per un certo tempo.
L’accettazione “espressa”. Si ha accettazione espressa quando la volontà di accettare oppure l'assunzione del titolo di “erede” da parte del “chiamato” è fatta in un atto pubblico (cioè in un atto notarile) o in una scrittura privata (e cioè in qualsiasi documento nel quale il sottoscrivente appunto manifesti la propria volontà di accettare o assuma il titolo di erede).
L’accettazione tacita. L'accettazione tacita si verifica ogni qualvolta il chiamato all'eredità compia un atto che presupponga necessariamente la sua volontà di accettare e che egli non avrebbe il diritto di compiere se non nella sua qualità di erede.
Il caso classico è quello del chiamato che dona o vende un immobile o un mobile compreso nel patrimonio ereditario: compiendo tale atto egli diviene automaticamente erede in quando esplica un'attività che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non potrebbe compiere se non fosse erede del de cuius.
Egli infatti se non fosse erede non potrebbe altrimenti vendere quel bene non avendone la proprietà e solo accettando l'eredità e quindi divenendone proprietario può poi procedere alla vendita.
L'accettazione per effetto del possesso dei beni ereditari. L’accettazione dell’eredità può avvenire anche (e anzi questo è il caso sicuramente più frequente) mediante il possesso dei beni ereditari che un “chiamato” all’eredità abbia per un tempo superiore a tre mesi.
In altri termini, la legge presume che il chiamato all’eredità, il quale rimanga per più di tre mesi nel materiale possesso dei beni dell’eredità, con tale atteggiamento espliciti inequivocabilmente la sua volontà di subentrare al defunto nella titolarità del patrimonio ereditario e quindi di acquisire la qualità di erede.
Pertanto, visto che, nella normalità dei casi, i chiamati all’eredità sono gli stretti congiunti del de cuius e che quindi costoro, per ragioni di convivenza, sono di regola nel possesso dei beni del defunto stesso, ecco che questo tipo di accettazione è di sicuro quello più ricorrente.
Occorre a questo punto sottolineare, specularmente, che chi intenda rinunciare all’eredità (o accettarla con il beneficio d’inventario) perché vi sia il sospetto (o addirittura la certezza) che l’eredità sia passiva (cioè i debiti del defunto assorbano le attività), egli deve prestare attenzione (se sia in possesso dei beni ereditari) a non aspettare il decorso di tre mesi per effettuare l’atto di rinuncia all’eredità o a iniziare la procedura di accettazione con il beneficio di inventario, in quanto, una volta verificatasi l’accettazione ereditaria per effetto del possesso prolungato dei beni ereditari, non è più possibile in alcun modo rimuovere l’acquisita qualità di erede.
Ultima Modifica: 21/12/2005