Dalla Corte di Cassazione fari puntati sul pericolo di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte da parte dei contribuenti.
I giudici della Suprema corte, con tre sentenze a distanza di pochi giorni l'una dall'altra, hanno confermato la natura di reato di pericolo che caratterizza la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex articolo 11 del dlgs n. 74 del 2000.
Le sentenze in commento hanno analizzato varie operazioni messe in atto dai contribuenti quali la costituzione di un trust e di un fondo patrimoniale e la cessione delle quote di società, concludendo, in ognuna delle tre pronunce come per la configurazione di tale reato non sia necessaria né una procedura di riscossione in atto né una preventiva condanna per evasione fiscale a carico del contribuente.
Quanto agli strumenti messi in atto dai contribuenti per far venir meno le garanzie erariali alla riscossione di imposte di importo superiore ai 50 mila euro, fattispecie oggettiva del reato, le tre sentenze in commento contengono spunti interessanti.
In un caso il contribuente aveva costituito un vincolo di durata trentennale su alcuni beni mobili soggetti ad obsolescenza e degrado quali le autovetture (sentenza n. 7177/2017). Nella fattispecie decisa invece con la sentenza n. 7394/2017 il debitore aveva messo in atto un comportamento ancor più spregiudicato: a fronte di un ammontare complessivo di imposte, interessi e sanzioni non pagate per oltre 10 milioni di euro, il contribuente aveva compiuto una serie di atti fraudolenti idonei a rendere totalmente inefficace la procedura di riscossione coattiva simulando una cessione dell'azienda e omettendo la registrazione del relativo atto.
La società acquirente l'azienda aveva peraltro al stessa compagine sociale e lo stesso marchio commerciale della cedente ed utilizzava per la propria attività gli stessi locali. Nel terzo e ultimo caso esaminato (sentenza n. 7682/2017) l'atto finito nel mirino della Corte di Appello era costituito da una cessione simulata di quote con la quale il debitore aveva trasferito il 50% di una srl alla figlia dietro un corrispettivo ritenuto irrisorio (10.000 euro) ed inoltre successiva alla costituzione di un trust, sempre a favore della figlia, nel quale erano confluiti tutti i beni e le quote societarie.
Oggi è quindi pacifico che siamo di fronte a un reato di mero pericolo e dunque è sufficiente che la procedura di riscossione per una somma superiore ai 50 mila euro si prospetti come possibile, o eventuale. Tanto che la sentenza n. 7682/2017 dichiara addirittura irrilevante la circostanza che la Commissione tributaria provinciale avesse ridotto la pretesa erariale a 35 mila euro, posto che per il contribuente ben poteva configurarsi il pericolo che la benevola sentenza di primo grado venisse riformata in appello.
La giurisprudenza appare concorde nel ritenere che il reato sussista anche se il contribuente non ha ancora ricevuto alcun avviso di accertamento, ma ha ragioni per temerlo. Non solo, la magistratura provvede con sempre maggiore frequenza, ad assicurare il soddisfacimento delle pretese fiscali attraverso il sequestro preventivo dei beni che il contribuente riottoso tenti di sottrarre alla possibile esecuzione; e la misura viene disposta ancorché tali beni siano profitto del reato.
Inoltre, come, emerge anche dalle sentenze, la Corte di cassazione ritiene, che tali interventi preventivi possano essere giustificati anche sulla base di un mero sospetto. Né accertamenti penali e sequestri si arrestano a fronte ai vari vincoli (trust, patrimonio familiare) che i contribuenti possono tentare di imporre ai loro beni, allo scopo più o meno evidente di sottrarli alla esecuzione fiscale. Spetta dunque al contribuente dimostrare che questi vincoli sono stati costituiti in epoca non sospetta, o comunque non pregiudicano le ragioni dell'Erario, in quanto il residuo patrimonio del debitore è sufficiente a soddisfare agevolmente tali pretese.