Una quindicina d’anni dopo che la ratifica, da parte dell’Italia, della Convenzione dell’Aja sul trust aveva sdoganato l’utilizzo del trust nel nostro Paese, una corrente dottrinale culturalmente avversa all’utilizzo del trust, perché ritenuto "eversivo" rispetto ai principi cardine del nostro ordinamento giuridico, riuscì nell’intento di sospingere il legislatore a introdurre nel codice civile (articolo 39-novies, d.l. 273/2005, n. 273) il nuovo articolo 2645-ter, recante la possibilità di istituire il cosiddetto "vincolo di destinazione", con l’evidente scopo di fare di questo istituto una specie di "trust all’italiana".
Per vincolo di destinazione si intende ad esempio l’atto con cui i genitori vincolano un dato edificio ad abitazione del figlio disabile; oppure l’atto con il quale il proprietario di una villa con un grande parco, destina il parco ad ospitare l’annuale festa patronale degli abitanti di quel territorio.
In entrambi i casi, il vincolo serve a preservare nel tempo la destinazione che è stata voluta e a renderla insensibile rispetto alle vicende giuridiche nelle quali il bene vincolato incorrerà (ad esempio in caso di sua vendita o di sua trasmissione ereditaria).
Il disegno ipotizzato non ha però avuto, almeno finora, gli effetti sperati, in quanto l’istituzione di vincoli di destinazione (che ha comunque una sua dignità e un suo non indifferente perimetro di utilizzo) è limitata a un numero ristretto di casi e che il trust rimane ancora la strumentazione preferita.
Il vincolo di destinazione e il trust, tra l’altro, sono istituti appartenenti alla stessa "famiglia", in quanto, in effetti, il trust altro non è che una species del genus dei "vincoli di destinazione": con questa espressione infatti si intende, con riferimento all’insieme dei rapporti giuridici facenti capo a quel soggetto, l’atto con il quale una parte di questi rapporti vengono isolati dal resto, per essere appunto finalizzati a una certa destinazione.
Da questa finalizzazione deriva dunque l’effetto segregativo dei beni "destinati" rispetto agli altri beni appartenenti al medesimo soggetto: mentre questi ultimi hanno la loro sorte "ordinaria" (ad esempio: si trasmettono agli eredi in caso di morte del loro titolare; sono aggredibili dai suoi creditori; eccetera), il vincolo impresso sui beni "destinati" comporta che essi sono invece dedicati alla realizzazione dello scopo di destinazione: ad esempio, sono pignorabili solo dai creditori che hanno maturato i loro crediti nell’esercizio dell’attività di destinazione.
Ma anche il trust, come più volte sottolineato, ha l’effetto di segregare i beni del trust rispetto al rimanente patrimonio del trustee e quindi, sotto questo profilo i due istituti non differiscono.
I punti di non contatto sono invece essenzialmente due: che il vincolo di destinazione può riguardare solo beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri (quando invece nel trust non vi sono limitazioni del genere); inoltre, un carattere fondamentale del trust (salvo i casi del trust autodichiarato, che, in effetti, è assai simile al vincolo di destinazione) è l’affidamento al trustee della proprietà dei beni in trust, con ciò che ne consegue in termini di maggior efficienza nella realizzazione dello scopo per il quale lo strumento viene istituito, in ragione del coinvolgimento di un soggetto obbligato a curarne l’attuazione.
Ultima Modifica: 13/12/2010