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La disciplina degli immobili da costruire e gli interventi edilizi su immobili esistenti

 

Sommario

1. Impostazione del problema. Ricognizione delle soluzioni in campo. 2. L’elemento di novità della riforma del regime degli interventi edilizi sul patrimonio edilizio esistente. 3. La ristrutturazione “conservativa” e la ristrutturazione “ricostruttiva”. 4. Prime conclusioni.

1. Impostazione del problema e ricognizione delle soluzioni in campo.

Uno degli aspetti più problematici del perimetro oggettivo di applicazione della disciplina sugli immobili da costruire riguarda gli interventi edilizi sul patrimonio immobiliare esistente.

Nonostante la mancanza di una espressa previsione normativa[1] e le indicazioni evinte dai lavori preparatori[2], una interpretazione sistematica e assiologica proposta dal notariato nell’immediatezza della entrata in vigore disciplina degli immobili da costruire ha fatto propendere, con attenzione agli interessi coinvolti, per l’estensione del suo perimetro applicativo anche agli interventi su edifici da ristrutturare ovvero in corso di ristrutturazione.

Non si tratta ovviamente di fattispecie esattamente identiche, ma di fattispecie comunque pressoché equivalenti in punto di funzione e d’efficacia[3]. La «situazione dell’acquirente persona fisica che acquista dal costruttore un fabbricato da costruire “ex novo”, acquirente che deve, pertanto, essere tutelato, in quanto gli deve essere garantita la possibilità di recuperare tutto quanto già versato sino al momento in cui si produce l’effetto traslativo, non è affatto diversa da quella dell’acquirente persona fisica che acquista una porzione di un edificio già esistente e da ristrutturare radicalmente, porzione che potrà essere fisicamente individuata e quindi potrà essere anche trasferita solo una volta eseguiti i suddetti lavori di ristrutturazione»[4], purché si tratti di «interventi complessi, incidenti sugli elementi tipologici, strutturali e formali, del fabbricato, tali da determinare una vera e propria “trasformazione” dell’edificio preesistente». Gli interventi in commento rientrano quindi, in entrambi i casi, nell’ambito delle attività edilizie ed edificatorie. Comune anche la situazione effettuale: l’immobile ancora non “esiste” nella consistenza convenuta tra le parti e, pertanto, la posizione dell’acquirente non deve rimanere priva di tutela[5].La conclusione raggiunta dal notariato, all’indomani della introdotta disciplina sugli immobili da costruire, è stata quella di estenderne l’applicazione agli interventi di ristrutturazione cd. “maggiore”, ossia a quegli interventi che trovavano la loro disciplina edilizio-urbanistica nel combinato disposto degli artt. 3 primo comma lett. d) e 10 primo comma lett. c) del D.P.R. 380/2001 allora vigente, e quindi agli interventi “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere” e che “portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso da quello precedente e che comportino aumento di unità, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero se in zona A mutamento della destinazione d’uso”[6]. In altre parole, alla luce delle qualificazioni edilizio-urbanistiche degli interventi sui fabbricati portata dal Testo Unico in materia di edilizia allora vigente, il notariato ha proposto una interpretazione del testo di legge basata sul titolo abilitativo necessario e quindi sulla distinzione edilizio/urbanistica fra “ristrutturazione pesante” [sottoposta a permesso di costruire o a “super scia” in base agli articoli 10 lettera c) e 23 del Testo Unico in materia di edilizia], assoggettata alla disciplina sugli immobili da costruire, e “ristrutturazione leggera”, esclusa da tale ambito. Negli interventi di ristrutturazione cd. minore manca l’anzidetta comune ratio di tutela, trattandosi di interventi edilizi senza demolizioni, ricostruzioni o sostituzioni di elementi dell’edificio e senza alterazione di volumetria e superficie, non potendosi in tali ipotesi ritenere che venga realizzato un immobile nuovo e diverso rispetto a quello preesistente[7]. Il criterio ermeneutico fin qui condiviso, correlato alle reali esigenze applicative nonché a un’identità funzionale tra fattispecie pressoché equivalenti[8], non è stato contraddetto dalla decisione della Corte di Cassazione, nella sua più autorevole composizione, che anzi ricomprende le ristrutturazioni nel perimetro della responsabilità del costruttore ex art. 1669 c.c., richiamato dall’art. 4 del Decreto Legislativo, 20 giugno 2005, n. 122 in tema di assicurazione[9], e pare uscire rafforzato dopo la riforma della disciplina sugli immobili da costruire introdotta dal Decreto Legislativo, 12 gennaio 2019, n. 14 che, nel sancire l’obbligatorietà della polizza fideiussoria, a pena di nullità, condiziona l’applicabilità della nuova disciplina a tutti quegli interventi radicali sulla struttura dell’edificio che consentano di avere un intervento dell’assicurazione fin dall’inizio dei lavori strutturali[10]. Ma c’è di più.L’indicazione secondo la quale il titolo edilizio costituisce soltanto un mero indice di applicazione della nuova disciplina, dovendosi di volta in volta verificare in concreto il contenuto dell’intervento edilizio che deve comportare il trasferimento di un edificio “nuovo” e “diverso” da quello esistente al momento della contrattazione, risulta avvalorata alla luce delle più profonde modifiche intervenute nel Testo Unico in materia di edilizia (TUE) di cui al D.P.R., 6 giugno 2001 n. 380, introdotte ad opera del Decreto Legge, 16 luglio 2020, n. 76, (noto come Decreto Semplificazioni), convertito in Legge, 11 settembre 2020, n. 120, che, nel «dirimere qualsivoglia dubbio interpretativo ed applicativo [ha inciso] in maniera significativa sul regime giuridico dei titoli edilizi, semplificandoli e ridefinendoli nei loro contorni applicativi, ha, segnatamente, riscritto i margini di operatività della stessa fattispecie della ristrutturazione edilizia»[11].

2. L’elemento di novità della riforma del regime degli interventi edilizi sul patrimonio edilizio esistente.

Il Decreto legge, 16 luglio 2020, n. 76, convertito con Legge, 11 settembre 2020, n. 120 (c.d. Decreto Semplificazioni 2020), ha rivisitato la materia degli interventi edilizi sul patrimonio edilizio esistente, intervenendo su definizioni, limiti e regime giuridico.

É stato modificato innanzitutto l’art. 3 “Definizioni degli interventi edilizi”, con particolare riguardo all’ampliamento delle fattispecie riconducibili alla “manutenzione straordinaria” (art. 3 comma 1 lettera b) TUE), per tali intendendosi le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico. In tale ambito sono ricompresi anche gli interventi consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico, purchè non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’ uso. E ancora gli interventi comprendenti anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purchè l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004).

Altra modifica ha riguardato le fattispecie riconducibili agli “interventi di ristrutturazione edilizia” (art. 3 comma 1 lettera d), intendendosi per tali gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.

Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Rimane fermo che, per gli immobili sottoposti al Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto legislativo, 22 gennaio 2004, n. 42) nonché per quelli ricadenti nelle zone omogenee A (Decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444) o in zone a queste assimilabili in base a normativa regionale e piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.

É stato modificato poi l’art. 10, lett. c) del Testo Unico in materia di edilizia, con una limitazione della qualificazione urbanistico-edilizia di “ristrutturazione pesante” o “maggiore” esclusivamente a quegli “interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al Decreto legislativo, 22 gennaio 2004, n. 42.

Risulta evidente, da questa istantanea, che per effetto delle modifiche normative al Testo Unico in materia di edilizia, vi sono degli interventi edilizi che non sono più qualificabili urbanisticamente come “ristrutturazione maggiore” (perché, ex art 10 lettera c) non richiedono necessariamente il permesso di costruire o la “super scia”), ma che nondimeno determinano la trasformazione dell’edificio preesistente, con un insieme sistematico di opere che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso, con aumento di unità, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero se in zona A mutamento della destinazione d’uso, come previsto dal combinato disposto dal previgente testo degli artt. 3 e 10 del Testo Unico in materia di edilizia.

In base all’attuale quadro normativo, un intervento di ristrutturazione mediante demolizione del fabbricato esistente e sua ricostruzione, se non comporta anche modifica di volumetria, ancorché determini senza dubbio la realizzazione di un organismo diverso, oggi non è qualificato come “ristrutturazione pesante” dal punto di vista urbanistico[12].

In quest’ottica le sopravvenute modificazioni al Testo unico in materia di edilizia portano in primo piano due questioni, dense d’implicazioni pratiche e reciprocamente condizionate nelle loro linee di soluzione, riguardanti: da un canto, il significato precettivo di un criterio basato sulla sola qualificazione urbanistica del titolo edilizio; e, da un altro canto, la valenza sistematica dell’enunciazione di mero rinvio a una singola fattispecie, “la ristrutturazione pesante”, in rapporto alle numerose altre fattispecie a essa equivalenti nella funzione complessivamente considerata, ma che sono, tuttavia, minus quam perfectae, dal punto di vista urbanistico, essendo prive del requisito della modifica di volumetria.

Da qui l’interrogativo.

Un criterio fondato sulla tipologia di titolo abilitativo richiesto per il tipo di attività può considerarsi tuttora autoportante?

3. La ristrutturazione “conservativa” e la ristrutturazione “ricostruttiva”.

Nel “corpus” dedicato alla “ristrutturazione edilizia”, sono presenti due distinti tipi di ristrutturazione aventi entrambi la loro fonte nel citato art. 3, comma primo, lettera d) del D.P.R. n. 380 del 2001: il primo, qualificabile come ristrutturazione “conservativa”; il secondo, qualificabile come ristrutturazione “ricostruttiva”[13].

Rientrano, di certo, nel perimetro applicativo della disciplina sugli immobili da costruire le fattispecie riconducibili alla nozione di “ristrutturazione ricostruttiva”[14], che ricomprende:

a) tutti, sempre e comunque gli interventi di demolizione e ricostruzionedi edifici esistenti, e ciò indipendentemente dal fatto che essi comportino anche modifiche di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, e quindi indipendentemente dalla loro qualificazione urbanistica come interventi di ristrutturazione pesante (permesso di costruire o “super scia”) o meno;

b) gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Meno sicura è la collocazione entro siffatto perimetro degli interventi di ristrutturazione “conservativa”[15], i quali si distinguono in interventi di ristrutturazione cd. leggera, come scandita nei termini di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), prima parte, e interventi di ristrutturazione cd. pesante, assentita mediante permesso di costruire o scia e descritta nei termini di cui all’art. 10 comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001.

Nell’ambito della ristrutturazione conservativa c.d. leggera (o minore) possono essere ricondotti tutti quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che comportino il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, senza alterazione di volumetria e superficie. L’organismo edilizio interessato dalle opere rimane identico al precedente, senza aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici[16].

Si tratta, all’evidenza, di fattispecie estranee alle finalità di tutela della disciplina sugli immobili da costruire, non potendosi in tali ipotesi ravvisare la realizzazione di un immobile nuovo e diverso rispetto a quello preesistente[17].

In dubbio è se la predetta esclusione valga anche con riferimento a interventi che comportino mere modificazioni della destinazione d’uso[18] in zona omogenea A oppure della sagoma di immobili sottoposti a vincoli culturali[19]: detti interventi, in base all’art. 10 comma 1 lett. c) TUE sono assoggettati a Permesso di costruire (o a “super scia” ex art. 23 TUE) e quindi, a livello urbanistico-edilizio sono considerati interventi di ristrutturazione “pesante”.

Se questo è vero, è altrettanto vero che tale disciplina, legata a «una previsione di particolare rigore per i centri storici, finalizzata ad evitare indebite alterazioni dei loro delicati equilibri abitativi e funzionali»[20], deve essere interpretata sistematicamente e funzionalmente con la disciplina sugli immobili da costruire, legata invece a interventi edilizi di ristrutturazione nella misura in cui realizzano il medesimo assetto di interessi coinvolti in relazione a un immobile da costruire ex novo. Bisogna cioè verificare di volta in volta, in base alla singola fattispecie, se le due discipline in concorso sono convergenti oppure irrefluenti in altri termini se sono vaso comunicanti oppure restano compartimenti stagni[21].

Pare pertanto ragionevole sostenere che il solo cambio di destinazione d’uso di un immobile di un edificio ricadente in zona A) non rientra nel perimetro di applicazione della disciplina degli immobili da costruire. Per l’attivazione di tale disciplina si richiede, pur sempre, la realizzazione di un edificio in tutto o in parte diverso, con modifica complessiva della volumetria. Il solo titolo edilizio non è sufficiente a tal fine, anche se non è del tutto irrilevante, nel senso che costituisce comunque un’utile spia segnalativa per verificare se in concreto si sia o meno in presenza di tutti quegli interventi edilizi che non rientrano nel combinato disposto degli articoli 3 lett d) e 10 lettera c) del Testo Unico in materia di edilizia.

Anche nella zona A, quindi, ai fini dell’applicazione della disciplina sugli immobili da costruire, è condizione necessaria che si tratti di uno degli interventi per cui è richiesto il permesso di costruire, ma non è condizione sufficiente, perché occorre altresì che venga realizzato un edificio in tutto o in parte diverso, con modifica complessiva della volumetria. Soltanto in presenza di questi presupposti, un intervento di ristrutturazione sarà sottoposto alla disciplina degli immobili costruire.

Dalle fattispecie fin qui descritte va tenuta distinta la ristrutturazione conservativa “pesante” o “maggiore” che la giurisprudenza ricomprende nel perimetro in parola, riguardando gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, con modifica della volumetria complessiva degli edifici (art. 10 lettera c) TUE) e comunque gli interventi che incidono sul carico urbanistico e che portano a un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente con aumento delle unità immobiliari o modifiche del volume, sagoma, prospetti o superfici[22].

4. Prime conclusioni.

All’esito di questa indagine è possibile trarre prime conclusioni.

La disciplina sugli immobili da costruire non trova, di certo, applicazione in tutte le ipotesi in cui l’intervento abbia carattere “conservativo”[23]. Sono esclusi:

a) gli interventi edilizi di “manutenzione ordinaria” (art. 3 comma 1 lettera a) Testo Unico in materia di edilizia), che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;

b) interventi di “manutenzione straordinaria” (art. 3 comma 1 lettera b) Testo Unico in materia di edilizia), per tali intendendosi gli interventi autonomi consistenti in opere e modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonchè per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico[24]. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonchè del carico urbanistico purchè non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’ uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004;

c) gli “interventi di restauro e di risanamento conservativo” (art. 3 comma 1 lettera c) Testo Unico in materia di edilizia), sono gli interventi non autonomi, ma ricompresi in un “insieme sistematico di opere” rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio.

Riguardo poi all’estensione del perimetro di applicazione della disciplina sugli immobili da costruire agli interventi di ristrutturazione va probabilmente ripensato il carattere autoportante del titolo abilitativo, in base al quale si distingueva tra ristrutturazione pesante e leggera. Non c’è più, alla luce della recente riforma, un automatismo obbligato o se si preferisce un medio logico automatico per ricomprendere l’una ed escludere l’altra in base alla esistenza o meno del permesso di costruire ex art. 10 lettera c Testo Unico in materia di edilizia (o “super scia” ex art. 23 del predetto Testo Unico).

Bisogna piuttosto distinguere tra ristrutturazione ricostruttiva e ristrutturazione conservativa e, rispetto a quest’ultima, verificare il tipo di intervento edilizio.

Più nel dettaglio:

A) si deve fare rientrare giocoforza nel perimetro applicativo della disciplina sugli immobili da costruire la “ristrutturazione ricostruttiva”, con demolizione e ricostruzione, sia qualora costituisca un intervento di “ristrutturazione maggiore” (che richieda quale titolo abilitativo il permesso di costruire o la “super scia”), sia qualora configuri urbanisticamente un intervento di “ristrutturazione minore” (per il quale sia sufficiente la Scia ordinaria), e quindi indipendentemente dal fatto che sia o meno accompagnata da incrementi di volumetria, sagoma, prospetti, sedime.

B) si deve escludere da tale regime la “ristrutturazione conservativa” leggera (o minore), cui possono essere ricondotti tutti quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che comportino il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, senza alterazione di volumetria e superficie, non potendosi in tali ipotesi ritenere che venga realizzato un immobile nuovo e diverso rispetto a quello preesistente[25].

C) si considera rilevante ai fini della applicazione della disciplina sugli immobili da costruire la ristrutturazione “conservativa” soltanto quando conduca ad un organismo “in tutto o in parte diverso” dal precedente, con aumento di volumetria [intervento di “ristrutturazione maggiore” ai sensi dell’art. 10 lettera c) Testo Unico in materia di edilizia][26]. Nel caso poi di ristrutturazione conservativa senza aumento di volumetria in zona A, ma con mutamento della destinazione d’uso, ancorché si tratti di “ristrutturazione pesante” dal punto di vista urbanistico, si può dubitare che ricorra l’applicazione della disciplina a tutela dell’acquirente d’immobili da costruire non trattandosi di organismo in tutto o in parte diverso.

In definitiva pare uscire confermato che il titolo edilizio assume significanza “neutra”[27] ai fini che ne occupano, nel senso che non deve essere sopravvalutato come sicuro indice di applicazione o di esclusione del quadro normativo in esame, che presuppone comunque una portata innovativa dell’intervento, consistente in un ampliamento con opere strutturali. In altri termini né è assoggettabile alla disciplina a tutela dell’acquirente d’immobili da costruire soltanto la ristrutturazione maggiore, intesa nell’accezione urbanistico-edilizio, né per converso ogni intervento edilizio qualificato in termini di ristrutturazione maggiore è per ciò solo compreso in tale disciplina.

L’invito è pertanto ad attivare una maggiore prudenza nel valutare in concreto se, di là dal titolo edilizio, l’intervento edilizio su immobili esistenti è di “portata innovativa” tale da scontare gli stessi interessi coinvolti e tutelati nella disciplina a tutela dell’acquirente d’immobili da costruire.

 

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[1] L’art. 1 lett. d) del Decreto legislativo, 20 giugno 2005, n. 122, non è stato modificato dal Decreto Legislativo, 12 gennaio 2019, n. 14, e qualifica tuttora «immobili da costruire» gli «immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità».

[2] La proposta, avanzata durante i lavori della Commissione Giustizia del Senato, di includere i fabbricati da ristrutturare nell’ambito della sfera di tutela della nuova normativa è stata infatti respinta, con l’argomento che ciò avrebbe fatto lievitare notevolmente i costi a carico del mercato immobiliare. Così, Cass., 26 agosto 2020, n. 17812, in www.studiolegale.leggiditalia.it. Nonostante l’esito dei lavori parlamentari taluna dottrina ha sostenuto che «il decreto potrebbe tuttavia trovare applicazione nei casi di interventi importanti ossia nei casi di ristrutturazione non conservativa, ma ricostruttiva (cfr. art. 3 del T.U. edilizia D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), in considerazione della sostanziale coincidenza d’interessi da tutelare» C. Leo, Le nuove norme a tutela degli acquirenti di immobili da costruire, in Contratti, 2005, p. 745 ss. Di contrario avviso altra dottrina secondo la quale «si tratta, di fatto, di interventi molto onerosi e che possono esporre alle medesime difficoltà cui va incontro il promissario acquirente tutelato dal d.lgs. 122/2005; tuttavia, in mancanza di un’esplicita previsione al riguardo, non sembra possibile in via interpretativa l’estensione analogica di una lex specialis» S. Cherti, La garanzia fideiussoria a tutela degli acquirenti di immobili da costruire, in La fideiussione e le altre garanzie personali, opera diretta da V. Cuffaro, Torino, 2014, p. 251 s.

[3] «Sotto il profilo sistematico, non è chi non veda la sostanziale identità della situazione dell’acquirente, nell’ipotesi in cui gli venga venduta, o promessa in vendita, una “nuova costruzione al rustico”, ovvero un “fabbricato da ristrutturare”, in presenza di identico obbligo del venditore di procedere alle opere di completamento. Sarebbe irragionevole, ed in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza, una disciplina che limitasse la tutela alla prima delle due ipotesi; ed a fronte di due possibili interpretazioni, una sola delle quali costituzionalmente legittima, l’interprete deve necessariamente scegliere quest’ultima. Del resto, anche in altri settori dell’ordinamento l’attività di ristrutturazione è equiparata a quella di costruzione, o di ricostruzione: basti pensare alle disposizioni tributarie che equiparano le fattispecie disciplinate dalle lettere d) ed e) dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457 (ristrutturazione edilizia e urbanistica). Poiché l’art, 1, comma 1, della legge n. 210/2004 parla di “costruzione” da ultimare, è dubbio che possano essere ricompresi nell’ambito applicativo della legge suddetta gli interventi previsti dalla lettera c) (restauro o risanamento conservativo); l’ipotesi più plausibile è che i fabbricati in corso di restauro o risanamento debbano essere considerati “in corso di costruzione”, ai fini in esame, quando siano previsti interventi che richiedono il rilascio di un nuovo certificato di agibilità. Alle stesse condizioni, dovrebbero essere esclusi gli interventi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 31 suindicato (manutenzione ordinaria e straordinaria)» G. Petrelli, La nuova disciplina a tutela degli acquirenti di immobili da costruire, Relazione al Convegno Paradigma-Milano, 15 aprile 2005, www.gaetanopetrelli.it. Anche, Id., Gli acquisti di immobili da costruire, Milano, 2005, p. 38 s. Per una ricostruzione finalistica della normativa, secondo cui le esigenze di tutela dell’acquirente di immobili edificati ex novo sono equivalenti a quelle di chi acquista immobili, oggetto di ristrutturazione, A. Ferrucci, C. Ferrentino e A. Amoresano, La tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire ed istituti collegati, Milano, 2008, p. 125; A. Ferrucci, C. Ferrentino e S. Uttieri, La tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire ed istituti collegati, Milano, 2020, p. 124 ss.; N. Di Staso, La responsabilità civile e disciplinare del notaio nella legge sugli immobili da costruire, in Resp. civ., 2010, p. 53 ss.; D. Bottarelli, La commerciabilità degli immobili «sulla carta» alla luce del d. lg. n. 122/2005, in Obb. e contr., 2011, p. 651 ss. Argomenta sulla sostanziale coincidenza dell’interesse tutelato nel caso di immobile di nuova costruzione e di quello da ristrutturare, G. Baldi, Acquisto immobili in corso di costruzione: presupposti applicativi, in Imm. e propr., 2005.

[4] Studio n. 5813/C, Decreto legislativo 122/2005: la garanzia fideiussoria ed i presupposti di applicazione della nuova normativa, in Studi e Materiali, 2005, p. 1033 ss. e p. 1059; Id., La nuova disciplina di tutela dell’acquirente di immobile da costruire, in Notariato, 2005, p. 427; Id., Il collegamento negoziale tra vendita ed appalto e D. lgs.122/2005 Quesiti, in Tutela dell’acquirente degli immobili da costruire: applicazione del D.lgs.122/2005 e prospettive Atti del Convegno tenutosi a Roma il 20-21 gennaio 2006, Milano, 2006. Secondo altra dottrina l’estensione si deve sì a ragioni d’ordine sistematico ma per il fatto che «se è vero che il fabbricato da ristrutturare esiste già al momento della conclusione del contratto è vero però che è un bene certamente diverso da quello che sarà dopo la ristrutturazione. E se il costruttore lo venga o si obblighi a venderlo in tale stato (cioè già ristrutturato), a quanto sembra il contratto non ha per oggetto un bene presente (il fabbricato esistente), ma un bene futuro (il fabbricato ristrutturato)» P. Cardarelli, L’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, Milano, 2009, p. 144. Secondo altra dottrina «più che il riferimento al permesso di costruire assum[e] rilievo determinante il concetto di edificazione dell’immobile che esprime non un adeguamento funzionale di un edificio preesistente, ma la stessa realizzazione di un edificio, non esistente sino a quel momento o costruito dopo la demolizione del manufatto preesistente» G. De Marzo, La tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti degli immobili da costruire, in Urb. App., 2005, p. 1127 ss. Indagano il tema, con opinioni non del tutto convergenti, M. Ticozzi, Applicabilità della disciplina, in La tutela degli acquirenti d’immobili da costruire. Commento al d. lgs. n. 122 del 2005, a cura di G. Sicchiero, Padova, 2005, p. 120 s.; R. Calandrino, L’irrinunciabilità delle tutele dell’acquirente di immobili da costruire, la garanzia fideiussoria e la polizza fideiussoria, in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 66 ss.; A. Zaccaria, La nuova disciplina sulla tutela degli acquirenti di immobili da costruire: lineamenti e principali problematiche, in Studium iuris, 2006, p. 935, secondo cui la normativa si applica alla ristrutturazione totale, tale che l’immobile che risulta al termine della ristrutturazione sia assolutamente diverso da quello precedente all’intervento edilizio; G. Vettori, La tutela dell’acquirente di immobili da costruire: soggetti, oggetto, atti, in La tutela dell’acquirente di immobili da costruire, a cura del Consiglio Notarile di Firenze, Napoli, 2006, p. 69, per la quale la disciplina si applica ogni volta che sia indispensabile chiedere il rilascio di un nuovo certificato di agibilità. Segnatamente (in La tutela dell’acquirente di immobili da costruire: soggetti, oggetto, atti, in Obbl. contr., 2006) si sostiene che «la ristrutturazione individua un nuovo bene costituito dal fabbricato e dall’interesse dell’acquirente che ha assunto obbligazioni. Vi è sostanziale identità fra nuova costruzione al rustico e fabbricato da ristrutturare. Sicché la tutela non può essere negata; occorre solo che l’immobile sia diverso da quello originario e lo sarà quando l’intervento richiede un nuovo certificato di agibilità».

[5] Corte d’Appello Milano, 31 marzo 2021, in www.studiolegale.leggiditalia.it. Maggiormente risalente Trib. Terni, 14 ottobre 2015, in www.unipg.it, secondo cui «Una lettura sistematica e teleologica del d.lgs. n. 122/2005 fa propendere per una interpretazione estensiva della norma la quale potrà essere applicata non solo alle costruzioni ex novo ma anche alle ristrutturazioni edilizie c.d. maggiori, ossia a quegli interventi complessi, incidenti sugli elementi tipologici, strutturali e formali, dell’immobile, tali da determinare una vera e propria “trasformazione” del bene preesistente». E questo perché «l’acquirente che acquista una porzione di immobile da ristrutturare si trova, sostanzialmente, nella medesima situazione dell’acquirente che acquista una porzione di immobile da edificare “ex novo”, posto che anche nel primo caso l’immobile ancora non “esiste” nella consistenza convenuta tra le parti, cosicché non sarebbe neppure possibile una cessione con effetto traslativo immediato». Per questa ragione, «non si vede perché la nuova normativa di tutela non possa applicarsi anche al caso della “ristrutturazione maggiore”, sulla base di un’interpretazione ampia del concetto di “immobile da edificare” (anche la ristrutturazione in fin dei conti è un intervento che rientra nell’ambito delle attività edilizie ed edificatorie)». Per la inapplicabilità dell’esenzione da revocatoria prevista dall’art. 10 del d.lgs. n. 122 del 2005 in un’ipotesi in cui, peraltro, gli immobili non erano stati costruiti “ex novo”, ma solo oggetto di interventi di ristrutturazione e risanamento conservativo in forza di apposita concessione edilizia. Cass., 18 febbraio 2016, n. 3237, in Fallimento, 2017, p. 352.

[6] Medesimamente, nei risultati, taluna dottrina P. Cardarelli, L’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, cit., p. 154 s., secondo cui, in caso di vendita un immobile nello stato in cui sarà dopo la ristrutturazione, «l’interpretazione logica della disposizione che definisce gli immobili da costruire la ratio del decreto portano ad interpretare estensivamente le espressioni “da costruire” e “da edificare”, in moda comprendere in tali espressioni anche gli interventi edilizi sull’esistente che siano tali da portare ad un opus novum ed a qualificare il bene oggetto del contratto come cosa futura (in quanto non esistente con le sue caratteristiche sostanziali al momento della conclusione del contratto)».

[7] Cass., 26 agosto 2020, n. 17812, cit., secondo cui: «è comunque senz’altro da escludere l’applicabilità del D. Lgs. n. 122 del 2005, art. 2, con riguardo alla ristrutturazione cd. minore, cioè senza demolizioni, ricostruzioni o sostituzioni di elementi dell’edificio e senza alterazione di volumetria e superficie, non potendosi in tali ipotesi ritenere che venga realizzato un immobile nuovo e diverso rispetto a quello preesistente». Analogamente, Corte d’Appello Milano, 31 maggio 2021, in www.studiolegale.leggiditalia.it, con riferimento a una fattispecie dove gli interventi edilizi non incidono sul prospetto del fabbricato, né importano modifica o alterazione della sagoma dell’edificio, né risultano essere snaturanti o varianti di elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio né determinanti il mutamento di destinazione d’uso.

[8] A. Semprini, Polizza assicurativa indennitaria e immobili da «ristrutturare», in Nuove leggi civ. comm., 2020, p. 1077 ss., secondo cui deve trattarsi di interventi «che ripercorrano e riproducano il medesimo assetto di interessi ravvisabile in relazione ad un immobile da costruire ex novo».

[9] Cass. civ. Sez. Unite, 27 marzo 2017, n. 7756, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 9, 1199, con nota M. Mattioni, Una pronuncia esemplare sull’ambito di applicazione (e sulla natura) della responsabilità ex art. 1669 cod. civ.; in Contratti, 2017, p. 517, con nota E. Depetris Rovina e difetti di cose immobili: la responsabilità dell’appaltatore al vaglio delle sezioni unite; in Giur. it., 2017, p. 2339, con nota M. Robles, Appalto privato-ristrutturazioni immobiliari, responsabilità dell’appaltatore e “nomofilachia” edilizia; in Corr. giur., 2018, p. 1528, con nota I. Ottobrino, La responsabilità ex art. 1669 c.c. nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia secondo cui «la responsabilità dell’appaltatore per rovina e difetti di cose immobili opera anche in relazione ai lavori di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che rovinino oppure presentino evidente pericolo di rovina o gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo».

[10] Sull’incidenza in subiecta materia della riforma si è espressa Autorevole dottrina notarile secondo cui, di là dalla sola ipotesi di demolizione e ricostruzione, non è possibile «estendere la disciplina in commento agli altri interventi di ristrutturazione edilizia, e ciò alla luce della nuova disciplina introdotta dal D. Lgs. 12/01/2019, n. 14, che ha legato, inscindibilmente, le vicende della polizza fideiussoria a quelle della polizza assicurativa decennale. […]. Quindi può fondamentalmente affermarsi che non sia richiesta la polizza fideiussoria in tutte quelle ipotesi nelle quali non sia neppure possibile ottenere la polizza assicurativa decennale. E le Compagnia di Assicurazione sono disponibili a rilasciare la polizza assicurativa decennale solo laddove possano verificare, sin dall’inizio, le modalità di esecuzione dei lavori edilizi, tant’è che nella prassi sempre più frequente il rilascio della polizza assicurativa decennale è condizionato alla stipula, sin dalla data di predisposizione iniziale del cantiere, della cd. “polizza CAR”, (“Contractor’s All Risks”), di modo che la Compagnia sia messa nella condizione di verificare i lavori durante tutta la “vita” del cantiere. Ovviamente, tutti quegli interventi di ristrutturazione che non hanno coinvolto l’intera struttura, realizzandola ex novo, per i quali non fosse possibile eseguire i relativi controlli di staticità e di costruzione a regola d’arte, e per i quali non fosse, di conseguenza, possibile ottenere, la polizza assicurativa decennale, rimarranno al di fuori del perimetro applicativo della disciplina di tutela di cui al D. Lgs. n. 122/2005» G. Rizzi, La circolazione immobiliare: Profili pubblicistici e nuove figure negoziali, Milano, 2020, p. 633 s. L’a. rivede la posizione assunta in passato (Id., Il D.lgs. 122 del 2005: la garanzia fideiussoria ed i presupposti di applicazione della nuova normativa, in Studi e materiali, 2005, p. 1047) che estendeva l’applicabilità della disciplina a tutti gli interventi di ristrutturazione maggiore che trovano la loro disciplina edilizio-urbanistica negli artt. 3, comma 1, lett. d e 10, comma 1, lett. c), del D.P.R., 6 giugno 2011, n. 380.

Analogamente, Guida Ance, Compravendita immobili in costruzione, giugno 2021, in ancereggiocalabria.it, secondo cui «in assenza di chiarimenti univoci è lecito riconoscere l’applicabilità della disciplina ai soli interventi di demolizione e successiva ricostruzione come definiti dall’art. 3 comma 1 lett. d) del TU Edilizia e più in generale quando l’immobile dedotto in contratto non esiste ancora almeno nella consistenza convenuta tra le parti».

Opinione differente è di taluna dottrina, secondo cui «sono immobili da costruire non solo quelli realizzati in base ad un progetto di ristrutturazione che preveda la demolizione di un edificio preesistente […] e quelli che prima della ristrutturazione non esistono nella loro fisica individualità, ma come porzioni dell’edificio da ristrutturare (es. una mansarda derivata dalla trasformazione di un sottotetto non praticabile, un nuovo piano del fabbricato realizzato con lo spostamento dei solai ecc.). É infatti, come si è detto, un bene futuro anche l’immobile che, pur esistendo con una propria individualità fisica ed economica al momento della conclusione del contratto, sia però venduto o promesso in vendita in uno stato o con una destinazione che avrà solo dopo un intervento edilizio che ne modifichi la struttura o le caratteristiche costruttive o tipologiche, o i requisiti giuridici […], in modo tale da cambiarne l’identità sostanziale, da renderlo cioè giuridicamente un altro bene» P. Cardarelli, L’acquisto di immobili da costruire o in corso di costruzione, cit., p. 154 s.

[11] Tar Salerno, 8 luglio 2021, n. 1680, in www.studiolegale.leggiditalia.it. Per un primo approfondimento della novella normativa, per tutti, G. Rizzi, Decreto semplificazioni 2020 e modifiche al Testo Unico in materia edilizia, in Notariato, 2020, p. 582.

[12] Cfr., Tar. Salerno, 8 luglio 2021, n. 1680, citata, per la quale la novella della Legge, 11 settembre 2020, n. 120, nel riscrivere i argini di operatività della stessa fattispecie della ristrutturazione edilizia, ha qualificato come “leggera” (dal punto di vista urbanistico, visto che non rientra nell’ambito dell’art. 10 lett. c) la ristrutturazione scandita nei termini di cui all’art. 3, comma 1, lett. d): «costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza».

[13] Sulla distinzione tra nuova costruzione e ristrutturazione, per tutte, Tar Brescia, 26 settembre 2018, n. 916, in www.studiolegale.leggiditalia.it. Ivi anche si mettere in chiara luce come la giurisprudenza «ha analizzato la tipologia della “ristrutturazione edilizia” (anche al fine di distinguerla dalla ipotesi di nuova costruzione, di cui alla successiva lett. e) dell’art. 3, co. 1 D.P.R. n. 380 del 2001), tenendo innanzi tutto presenti le distinte ipotesi di ristrutturazione indicate dal legislatore. In generale, si è affermato che la ristrutturazione edilizia si caratterizza per la diversità dell’organismo edilizio prodotto dall’intervento di trasformazione rispetto al precedente (Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2016 n. 4267 e 27 aprile 2016 n. 1619; sez. V, 12 novembre 2015 n. 5184); e che essa si distingue dalla nuova costruzione perché:

- mentre quest’ultima presuppone una trasformazione del territorio

- la ristrutturazione è, invece, caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto, in quanto tale trasformazione vi è in precedenza già stata (Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015 n. 1763; 12 maggio 2014 n. 2397; 6 dicembre 2013 n. 5822; 30 marzo 2013, n. 2972). E si è altresì precisato come siano rinvenibili, nell’ambito del citato art. 3, comma 1, lett. d) - almeno fino alla novella del 2013 - due distinte ipotesi di ristrutturazione edilizia:

- quella contemplata dalla prima parte della norma (c.d. intervento conservativo o risanamento conservativo o restauro conservativo), che può comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifiche della sagoma, nel qual caso abbisogna del permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 aprile 2014, n. 2194; sez. IV, 23 aprile 2014, n. 2060);

- quella (c.d. intervento ricostruttivo) attuata mediante demolizione e ricostruzione, nel rispetto del volume e della sagoma dell’edificio preesistente (Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014 n. 5988)».

Più di recente, Cons. Stato, 26 aprile 2021, n. 3352, in www.studiolegale.leggiditalia.it, secondo cui: «“la ristrutturazione edilizia si caratterizza per la diversità dell’organismo edilizio prodotto dall’intervento di trasformazione rispetto al precedente (Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2016 n. 4267 e 27 aprile 2016 n. 1619; sez. V, 12 novembre 2015 n. 5184) e che essa si distingue dalla nuova costruzione perché mentre quest’ultima presuppone una trasformazione del territorio, la ristrutturazione è invece caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto, in quanto tale trasformazione vi è in precedenza già stata (Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015 n. 1763; 12 maggio 2014 n. 2397; 6 dicembre 2013 n. 5822; 30 marzo 2013, n. 2972)».

[14] Cfr. Trib. Salerno, 8 gennaio 2020, in www.studiolegale.leggiditalia.it.

[15] Nei primi commenti al decreto legislativo n. 122/2005, taluna dottrina ha sostenuto che quanto agli «interventi di restauro e di risanamento conservativo», ex art. 3, 1° co., lett. c, d.p.r. 6.6.2001, n. 380, aventi finalità di conservazione dell’organismo edilizio e di assicurazione della sua funzionalità, il rilascio del certificato di agibilità è dovuto nei soli casi in cui ricorrano le condizioni delineate dall’art. 24, 2° co., lett. c, t.u. edilizia, ossia quando gli interventi in questione possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico dell’edificio e degli impianti. Sicché soltanto in questi casi gli interventi di restauro e di risanamento rientrerebbero nella sfera applicativa della tutela degli acquirenti di immobili da costruire. Così, F. Casarano, G. Baldi, V. Timpano, La tutela degli acquirenti di immobili da costruire, analisi e commento, articolo per articolo, del D. Lgs. 20 giugno 2005, n. 122, di attuazione della legge 2 agosto 2004, n. 210, in vigore dal 21 luglio 2005, Milano, 2005, p. 5 ss.

[16] Tar Toscana Firenze, 22 gennaio 2021, n. 83; Tar Lombardia, Milano, II, 1° luglio 2020, n. 1268; Cons. di Stato, Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 5988. Tutte in www.studiolegale.leggiditalia.it.

[17] Così, Cass., 26 agosto 2020, n. 17812, cit.

[18] Su valenza e regime del cambio di destinazione d’uso, per tutti, L. Dominici, Il cambio di destinazione d’uso, in Notariato, 2016, p. 26 ss.

[19] La zona A è quella che comprende le parti di territorio aventi agglomerati urbani di carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante degli agglomerati stessi. Rispetto a tale Zona la Corte Costituzione ha affermato, con sentenza del 17 giugno 2021, n. 124, che «la disciplina del testo unico dell’edilizia, interpretata alla luce della giurisprudenza amministrativa e di legittimità, “impone il permesso di costruire per i mutamenti di destinazione d’uso nei centri storici anche in assenza di opere” (sentenza n. 2 del 2021, punto 2.3.1. del Considerato in diritto). Dall’art. 10, comma 1, lettera c), t.u. edilizia si può desumere, difatti, che il legislatore statale considera con particolare rigore, assoggettandoli al preventivo rilascio del permesso di costruire, gli interventi idonei a determinare un mutamento di destinazione d’uso nelle zone territoriali omogenee A di cui all’art. 2 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, recante “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765”. Si tratta delle “parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”. La peculiarità di tali zone territoriali omogenee e dunque le più gravi ripercussioni dei mutamenti di destinazioni d’uso sull’armonico sviluppo urbanistico impongono una più energica tutela, vanificata da una normativa che ritiene sufficiente la SCIA ordinaria e prevede soltanto controlli successivi».

[20] Cons. Stato, 8 febbraio 2013, n. 720, in www.studiolegale.leggiditalia.it.

[21] A. Semprini, Polizza assicurativa indennitaria e immobili da «ristrutturare», cit., secondo cui è evidente che eventuali modificazioni della destinazione d’uso in zona omogenea A oppure della sagoma di immobili sottoposti a vincoli culturali (entrambe ricomprese nella categoria dottrinale delle ristrutturazioni pesanti) non presentino esigenze di tutela dell’acquirente di un bene in costruzione contro i rischi strutturali e i gravi vizi del bene correlati all’intervento edilizio realizzato. Secondo l’a. «tali interventi edilizi, ricompresi ai fini urbanistici nelle “ristrutturazioni pesanti”, non presentano alcuna giustificazione razionale idonea a determinare – nel momento del trasferimento di un immobile oggetto dell’intervento di ristrutturazione – l’applicazione della disciplina del d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, e dell’obbligo di consegna della polizza assicurativa indennitaria di cui all’art. 4». Lo stesso a. procede poi evidenziando la non coincidenza tra la generale garanzia che qualunque costruttore deve prestare per qualsiasi opera, ai sensi dell’art. 1669 cc, e la garanzia che deve essere prestata con la polizza fideiussoria di cui all’art 4 del TAIC, che ha una sfera applicativa più limitata.

[22] Quanto meno per Corte d’Appello Milano, 31 marzo 2021, citata.

[23] Paradigmatica, la decisione del Trib. Terni, 4 maggio 2020, in www.studiolegale.leggiditalia.it, in tema di intervento di lavori di “restauro e risanamento conservativo” assentiti dal punto di vista della tutela dei beni culturali e dal punto di vista edilizio rispettivamente con parere favorevole del Ministero per i beni e le attività culturali e con parere favorevole della Commissione edilizia del Comune a seguito della presentazione di una DIA. Il Tribunale respinge, tal caso, «la domanda di nullità del contratto preliminare per il mancato rilascio da parte della promissaria acquirente della fideiussione prevista dall’art. 2 del D. Lgs. n. 122 del 2005 […] in quanto tale obbligo viene previsto unicamente in relazione agli “immobili da costruire” tra i quali non può essere incluso l’edificio oggetto di causa che, al momento della stipula del contratto preliminare, risultava già realizzato (trattasi di un palazzo storico già riconosciuto di “notevole interesse storico-artistico ex artt. 2 e 3 della L. n. 1089 del 1939”). Peraltro, nel predetto contratto preliminare, gli odierni attori, nel rinunciare alla fideiussione di cui al citato D. Lgs. n. 122 del 2005, davano atto che “...il bene oggetto di compromesso è già realizzato mancando solo di finiture...”».

[24] Con riferimento a un contratto di appalto per l’esecuzione di opere di manutenzione straordinaria (lavori di rifacimento del manto di copertura e delle facciate) in favore del Condominio, il Trib. Milano (con sentenza, 10 maggio 2012, in www.studilegale.leggiditalia.it) ha escluso l’art. 4 del D.Lgs. n. 122 del 2005 (Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire), ritenuto norma inapplicabile al caso di specie laddove i lavori non hanno avuto ad oggetto la costruzione, la ricostruzione o la sopraelevazione delle palazzine e dei box facenti parte del Condominio.

[25] Così Cass., 26 agosto 2020, n. 17812, citata.

[26] Si rammenta che, secondo la più volte richiamata decisione della Corte d’Appello di Milano, la ristrutturazione “conservativa” diviene rilevante a fronte di interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere e che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso da quello precedente e che comportino aumento di unità, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero se in zona A mutamento della destinazione d’uso. In particolare, deve trattarsi di interventi complessi, incidenti sugli elementi tipologici, strutturali e formali del fabbricato, tali da determinare una vera e propria trasformazione dell’edificio preesistente.

[27] Guida Ance, Compravendita immobili in costruzione, giugno 2021, in ancereggiocalabria.it, secondo cui «Ovviamente va evidenziato che non è, in ogni caso, il titolo abilitativo che legittima l’intervento l’elemento utile a valutare l’applicabilità o meno delle garanzie previste».

Tratto da: CNN Notizie 06.08.2021

Ultima Modifica: 06/09/2021