La norma sul patto di famiglia prefigura dunque i seguenti trasferimenti:
a) la donazione (di regola, da padre a figlio) di una azienda o di un pacchetto di partecipazioni societarie;
b) una attribuzione in denaro o in natura ai familiari non beneficiari dell’azienda a “compensazione” di quanto ricevuto in donazione.
Secondo la nuova legge, oggetto di attribuzione gratuita da parte dell’ imprenditore è pertanto o una azienda o un pacchetto di partecipazioni: ma si tratta di una espressione normativa non felice, che, a prima vista, dà adito ad una notevole incertezza interpretativa. Infatti, se è chiaro ciò a cui il legislatore vuole alludere, quando si riferisce alla donazione della azienda da parte dell’ imprenditore individuale, assai meno chiaro è il dettato normativo quando esso si riferisce alla attribuzione di partecipazioni societarie.
In quest’ultimo caso sembra invero che la legge abbia posto sullo stesso piano alcune situazioni che probabilmente il legislatore non voleva affatto equiparare; in altri termini, se la legge sul patto di famiglia intendeva sicuramente disciplinare il passaggio da padre a figlio della cosiddetta “società di famiglia” (e cioè quella nella quale il donante esplica la propria preponderante attività) meno sicura appare la conclusione per la quale la nuova legge, come invero si desume dal suo tenore letterale, abbia inteso contemplare anche il caso del passaggio da padre a figlio di qualsiasi altro pacchetto di partecipazioni, e cioè diverso dalla quota posseduta della “società di famiglia”: si pensi ad esempio ad un pacchetto di azioni di una società quotata, acquistate per mere finalità di investimento o di speculazione.
Non si esce quindi dall’alternativa o di considerare il patto di famiglia estensibile a qualsiasi donazione di partecipazioni o limitarne la stipulabilità solo a quella donazione di quote/azioni che rappresentino la partecipazione al capitale sociale della società nella quale il donante esplica la propria attività imprenditoriale.
Se si aderisse alla prima soluzione, sarebbe oltremodo facile rivestire con l’involucro del patto di famiglia qualsiasi trasmissione patrimoniale: se Tizio è titolare di denaro, strumenti finanziari e immobili (cioè di “beni-patrimonio”, non inerenti, in altri termini, all’esercizio di alcuna gestione imprenditoriale), allora basterebbe conferirli in una società-cassaforte le cui quote siano poi fatte oggetto appunto di un patto di famiglia.
Questo approdo potrebbe apparire però eccessivo, se è vero, come è vero, che il legislatore ha voluto dedicare attenzione solo alla trasmissione generazionale delle aziende. E allora altro in tal caso non vi sarebbe da ritenere che le partecipazioni societarie di una persona fisica in tanto possano costituire oggetto di un patto di famiglia in quanto esse siano espressione di una attività imprenditoriale del loro titolare. Insomma, secondo quest’ultimo punto di vista, tutte le volte che una persona fisica sia proprietaria di partecipazioni che rappresentino un mero investimento, tali partecipazioni non potrebbero essere trasferite mediante un patto di famiglia; ogni qualvolta invece si trattasse di quote o azioni che costituiscano l’espressione di una attività imprenditoriale svolta dal donante, il patto di famiglia si rivela essere un valido strumento di trasmissione dell’impresa di padre in figlio.
Ultima Modifica: 21/03/2006