La disciplina in tema di patto di famiglia prevede espressamente che all’atto negoziale prendano parte «l’imprenditore» i discendenti ai quali egli intende trasferire l’azienda di famiglia (o le partecipazioni che la rappresentino) e «anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’ imprenditore».
Vediamo dunque nel dettaglio chi sono i protagonisti del patto di famiglia.
a) L’imprenditore. Sebbene la legge definisca colui che trasferisce l’impresa di famiglia esclusivamente come «imprenditore», questo termine va inteso in senso ampio, soprattutto se interpretato con riferimento alla complessiva disciplina del patto di famiglia.
Da un lato, infatti, solo nel nuovo articolo 768-bis del Codice civile, introdotto dalla legge di riforma, si distingue «l’imprenditore» dalla figura del «titolare di partecipazioni societarie», mentre nelle seguenti norme la legge fa riferimento alla figura dell’imprenditore tout court.
Dall’altro lato, considerando lo spirito della nuova legge – e cioè di permettere un trapasso generazionale non traumatico della ricchezza familiare costituita da un’attività di impresa – sarebbe riduttivo intendere il termine “imprenditore” in senso stretto, posto che così si limiterebbe oltremodo l’ambito di applicazione del patto di famiglia.
Infatti, il socio di maggioranza (o totalitario) di una società per azioni o a responsabilità limitata non è un tecnicamente un imprenditore (pur se “socialmente è considerato tale). Non solo; potrebbero realizzarsi addirittura ipotesi in cui anche il titolare di un’azienda, genericamente qualificabile come imprenditore, non possa essere definito tale sotto il profilo giuridico: si pensi al caso di chi, avendo deciso di mettersi a riposo e in attesa che i figli portino a termine gli studi e seguano le orme paterne, abbia affittato per qualche tempo la propria azienda ad un terzo.
Nella nozione di “imprenditore” utilizzata nelle norme sul patto di famiglia va dunque compreso anche chi – pur non potendosi definire “imprenditore” da un punto di vista tecnico-giuridico – sia semplicemente titolare dell’azienda (senza essere imprenditore) o titolare delle partecipazioni sociali che la rappresentano.
b) I discendenti assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni. Gli assegnatari dell’impresa di famiglia (o delle partecipazioni sociali) possono essere esclusivamente i discendenti dell’imprenditore: dunque, non solo i figli, ma eventualmente anche i nipoti (e cioè i figli dei figli dell’imprenditore). Infatti, l’imprenditore ben potrebbe decidere di trasferire l’azienda (o la società di cui è “titolare”) al nipote che nell’attività manageriale abbia dato miglior prova del proprio padre, “saltando” così una generazione nella titolarità e nell’amministrazione dell’impresa di famiglia.
La nuova norma è dunque assai chiara sul punto di chi possa succedere all’imprenditore nella titolarità dell’azienda mediante il patto di famiglia (e cioè i soli discendenti), escludendo dunque che possano divenire assegnatari soggetti diversi come, ad esempio, il coniuge (che deve partecipare all’atto, ma non in qualità di assegnatario) o i fratelli dell’imprenditore.
c) I partecipanti al patto non assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni. Oltre all’imprenditore e agli assegnatari dell’azienda (o delle partecipazioni sociali) al patto di famiglia devono prendere parte anche i soggetti che sarebbero legittimari se, al momento della stipulazione del patto, si aprisse la successione “nel patrimonio” dell’imprenditore (questa è invero l’espressione assai atecnica che il legislatore ha usato, che dunque deve più correttamente intendersi come “la successione dell’imprenditore”).
La previsione della necessità di partecipazione all’atto di tutti i legittimari deriva dalla ragione che il patto di famiglia è configurato come una sorta di “anticipo” della distribuzione del patrimonio dell’imprenditore rispetto al momento dell’apertura della successione.
Dunque, oltre al cedente e agli assegnatari dell’azienda (o delle partecipazioni) al patto di famiglia devono prendere parte:
a) il coniuge, anche se legalmente separato e sempre che la separazione non gli sia stata addebitata;
b) i figli e, qualora uno di questi non fosse più in vita, i suoi discendenti;
c) gli eventuali figli adottivi e, in loro mancanza, i loro discendenti.
Va notato che nel caso in cui l’imprenditore decida di “saltare” una generazione, attribuendo l’azienda o le partecipazioni sociali ai propri nipoti anziché ai propri figli, questi ultimi (genitori di colui o di coloro che siano stati scelti per succedere alla guida dell’impresa di famiglia) devono partecipare alla stipulazione del patto di famiglia in qualità di legittimari non assegnatari.
d) Familiari minorenni o incapaci. La normativa sul patto di famiglia non prende in considerazione il caso in cui uno dei legittimari – necessariamente chiamato a partecipare all’atto – sia ancora minorenne, e dunque legalmente incapace d’agire.
L’ipotesi non è così rara: si pensi ad esempio al caso in cui l’imprenditore si sia sposato più di una volta e abbia avuto figli anche con l’ultima moglie, in ipotesi in epoca recente; o ancora che – pur in assenza di nuove nozze – l’imprenditore abbia avuto (e riconosciuto) figli nati fuori dal matrimonio, da una compagna più giovane con la quale conviva. In questi casi accade spesso che i discendenti dell’imprenditore abbiano tra loro un divario anche di venti o trent’anni di età.
Ebbene, può darsi che, in questo contesto, l’imprenditore desideri comunque programmare la trasmissione della propria azienda, magari a favore dei figli di “primo letto” dei quali abbia già avuto la possibilità di saggiare ed apprezzare le capacità gestionali (capacità che, al contrario, non sarebbe neppure in grado di immaginare rispetto ai propri figli più giovani, forse ancora impegnati sui banchi di scuola).
L’importanza e la portata, anche economica, degli effetti del patto di famiglia inducono a ritenere che l’atto vada inquadrato tra quelli di straordinaria amministrazione, per il compimento dei quali la legge richiede la «necessità o utilità evidente del figlio» e l’autorizzazione preventiva del giudice tutelare.
Ulteriore quesito da risolvere è se tra il minore ed il suo rappresentante legale ricorra o meno un conflitto di interessi.
Almeno teoricamente questo conflitto non si può escludere tra l’imprenditore-cedente ed il minore: la rappresentanza del minore dovrebbe dunque concentrarsi in capo all’altro genitore (secondo quanto stabilisce l’articolo 320 del Codice civile). Se l’altro genitore non è un legittimario (per esempio, in quanto semplice convivente “more uxorio”) la questione pare risolta. In caso diverso andrà attentamente vagliata anche la posizione del genitore legittimario che debba intervenire nell’ atto nella doppia veste di coniuge e di rappresentante legale del minore: se si dovesse ravvisare, anche solo in via eventuale, un conflitto di interessi, sarebbe necessario domandare al giudice tutelare la nomina di un curatore speciale affinché intervenga nella stipulazione del patto di famiglia. Il punto è delicato: nel caso di inosservanza della disciplina in questione, la conseguenza è infatti quella dell’annullabilità del patto.
Non è infine da escludere che uno dei legittimari chiamati ad intervenire nella stipulazione del patto di famiglia versi in stato di incapacità legale. L’interdizione (incapacità assoluta) o l’inabilitazione (incapacità relativa) del legittimario – dichiarata dal giudice in conseguenza di una più o meno marcata incapacità di provvedere a gestire autonomamente i propri interessi (patrimoniali e non) – richiede alcuni adempimenti che devono precedere la stipulazione del patto di famiglia.
Qualora il legittimario sia un interdetto, al patto di famiglia prenderà parte il tutore, il quale deve però essere munito dell’autorizzazione giudiziale, data la natura di straordinaria amministrazione dell’atto.
Analoga è la soluzione nel caso dell’inabilitato, anche se in questo caso, oltre all’autorizzazione del giudice, è necessario che al patto di famiglia intervenga sia il legittimario incapace sia il suo curatore, che dovrà prestare il proprio consenso al compimento dell’atto.
Infine, quando il tutore o il curatore sia destinato a prendere parte al patto di famiglia in prima persona (in qualità di imprenditore-cedente o di assegnatario dell’azienda o come legittimario non assegnatario) si pone il problema del conflitto di interessi, che rende necessaria la nomina di un curatore speciale da parte del giudice.