La rappresentazione
Si dice “chiamato all’eredità” il soggetto che, per disposizione testamentaria o, in mancanza del testamento, per disposizione di legge, è legittimato ad accettare l’eredità e pertanto a divenire erede. La “chiamata” (o “vocazione”) ereditaria è dunque la situazione che si ha dal momento in cui la successione si apre (e cioè dal momento della morte del de cuius) fino a quando il chiamato diventa erede accettando appunto la “chiamata” che a lui proviene o dal testamento o dalla legge.
Se però chi è chiamato all’eredità non possa (perché ad esempio sia premorto rispetto al de cuius) o non voglia accettarla (ad esempio perché intenda rinunciarvi), si pone il problema di stabilire a chi debba essere rivolta la chiamata ereditaria per individuare se questi accetti di diventare successore del de cuius. Nel gergo dei giuristi, il chiamato che non può o non vuole accettare si dice “primo chiamato” mentre il chiamato individuato successivamente al primo si dice “chiamato ulteriore”.
Ebbene, qualora il primo chiamato all'eredità non possa o non voglia accettare l'eredità e non vi sia un testamento nel quale il de cuius abbia disposto una “sostituzione” (sul meccanismo della “sostituzione” si veda l’articolo qui a fianco), il chiamato “ulteriore” può essere individuato mediante le regole della cosiddetta “rappresentazione”, se ricorrano le seguenti condizioni:
a) il “primo” chiamato (e cioè quello che non può o non vuole accettare l’eredità) deve essere un soggetto che abbia discendenti legittimi o naturali;
b) il “primo” chiamato deve essere figlio legittimo, legittimato, adottivo o naturale del defunto oppure fratello o sorella del defunto stesso.
Se dunque ricorrono tali presupposti, i discendenti del “primo” chiamato (che sono denominati “rappresentanti”) subentrano nel luogo e nel grado del loro ascendente (detto “rappresentato”) che non voglia o non possa accettare l'eredità lasciata dal de cuius.
Va altresì precisato che all'interno di ciascuna stirpe che dal defunto promana, la rappresentazione ha luogo all'infinito, e cioè che per l'operare della rappresentazione non c'è limite di grado di parentela tra de cuius e discendente; nemmeno importa che all'interno di ciascuna stirpe coloro che succedono per rappresentazione siano tra loro di grado diverso rispetto al de cuius.
Ad esempio, se immaginiamo la morte del vedovo Armando che lascia un patrimonio di 900 in parti uguali ai tre figli (e quindi distribuisce 300 a ciascuno) e se pure immaginiamo che due suoi figli accettino l'eredità e conseguano la quota loro spettante mentre il terzo figlio rinunzi all’eredità, in luogo di costui possono subentrare per rappresentazione i suoi tre figli, ciascuno dei quali può conseguire un valore di 100; se poi immaginiamo che uno di questi tre figli sia premorto al padre lasciando a sua volta due figli, costoro si trovano a poter ereditare per rappresentazione un valore di 50 per ciascuno, e cioè la metà della complessiva quota che sarebbe spettata al loro genitore.
Ultima Modifica: 20/03/2011