Rent to buy, buy to rent ed help to buy erano, fino a qualche anno fa, espressioni sconosciute, che non rientravano né nel gergo degli operatori specializzati né nel linguaggio della gente comune e neppure in quello della stampa quotidiana. Quando però oggi, ad ogni livello, si parla di mercato immobiliare, non si può non ricorrere a queste espressioni, che sono divenute d’attualità per essere unite dal comune denominatore di rappresentare un probabilmente piccolo, ma comunque pur sempre significativo, contributo per fronteggiare la profonda crisi in cui è piombato il commercio dei beni immobili.
La situazione è nota: imprese di costruzione e privati proprietari con la necessità di vendere, ma che non trovano acquirenti; acquirenti che vorrebbero comprare, ma che non hanno le occorrenti risorse finanziarie; banche che non concedono credito. Un mix tremendo, che manda in corto circuito il mercato immobiliare e che, tuttavia, ha anche un aspetto, per così dire, positivo: costringere gli operatori a adoperarsi per trovare possibili soluzioni e, in particolare, costringerli, dato che il sistema non offre incentivi, a rivisitare gli istituti giuridici tradizionali (alcuni addirittura avvolti nell’oblio della desuetudine) per osservarli sotto la luce di un loro rinnovato utilizzo al fine di smuovere, almeno un poco, l’ingessamento derivante dell’attuale pessima congiuntura economica.
Tra l’altro, il fatto di avere fin da subito denominato quelle formule in inglese (per chissà quale mania di definire con anglicismi ogni “cosa nuova” con cui si abbia a che fare), non rende giustizia, perché non premia il notevole sforzo di inventiva degli operatori che le hanno ideate, e ciò in quanto quel nome inglese evoca indubbiamente l’impressione che si tratti di formule “importate”, quando invece la loro ideazione ha profonde radici nel nostro ordinamento. Anzi, come già s’è detto, si tratta, in gran parte, della rivisitazione in chiave attuale di istituti talora antichissimi (alcuni dai quali, tra l’altro, tanto antichi da esser stati praticamente dimenticati e che ora, dunque, vengono, per così dire, “riesumati”) e quindi di un’operazione che trova il proprio solidissimo ancoraggio nelle radici più profonde del nostro sistema giuridico, il quale, una volta tanto, non si mette al traino di esperienze maturate in altri contesti di più fervida attività intellettuale, ma dimostra, da un lato, la propria solidità e, d’altro lato, la propria versatilità, per essere adatto a supportare sia situazioni di floridezza che, come nel caso attuale, situazioni di crisi.
Seppure il rent to buy, il buy to rent e l’ help to buy siano soluzioni ovviamente tutte diverse l’una dall’altra, si tratta peraltro di formule legate tra loro da un comune fil rouge e quindi da un unico presupposto: vale a dire, il fatto che si deroga con esse alla tradizionale prassi secondo la quale la stipula di un contratto di compravendita immobiliare coincide con il pagamento del saldo del prezzo dovuto dall’acquirente al venditore. Infatti, se l’acquirente non ha i soldi per pagare e se nessuna banca lo finanzia, altro non resta che al finanziamento provveda “indirettamente” il venditore: accettando, cioè, di ricevere pagamenti dilazionati nel tempo. Una volta compiuto questo cambio di mentalità, rispetto alla scena di una “tradizionale” compravendita, le soluzioni divengono le più varie (e le commenteremo più approfonditamente nelle pagine successive):
a) nel rent to buy, si stipula un contratto di locazione, che poi si trasforma in un contratto di compravendita quanto la somma dei canoni di locazione pagati per un certo tempo abbia eguagliato il prezzo pattuito per la cessione della proprietà dell’immobile;
b) nel buy to rent, si stipula un contratto di compravendita immediatamente traslativo della proprietà con la particolare pattuizione per la quale il prezzo sarà pagato in un certo numero di rate e con la previsione che il caso di inadempimento provoca il ritorno della proprietà in capo al venditore;
c) nell’help to buy, si stipula un contratto preliminare preordinato al versamento a rate, da parte dell’acquirente al venditore, di caparre e di acconti fino al 20-30 per cento del prezzo pattuito, in modo da poter poi presentare a una banca una pratica di finanziamento per il residuo 80-70 per cento del prezzo.
Accanto a queste soluzioni, che sono senz’altro quelle più sofisticate, abbiamo poi anche altre formule da dedicare ai casi concreti nei quali esse meglio di adattino. Si pensi ad esempio:
a) al contratto di vitalizio ipotecario, con il quale una persona anziana può ricevere un finanziamento da una banca, obbligandosi a pagare periodicamente solo gli interessi della somma mutuata e lasciando l’onere di restituire il capitale ai propri eredi, i quali avranno la scelta tra il pagare di tasca propria il debito verso la banca (ottenendo quindi la liberazione dall’ipoteca dell’immobile dato in garanzia alla banca e da essi ottenuto in eredità) e la vendita dell’immobile ipotecato, per utilizzare il ricavato al fine di estinguere il credito della banca;
b) alla vendita di nuda proprietà con riserva dell’usufrutto in capo al venditore (il che concilia l’esigenza del venditore di finanziarsi senza perdere la disponibilità della casa e l’esigenza del compratore di pagare un prezzo basso, “scommettendo” sulla più o meno lunga permanenza in vita del venditore e quindi sulla durata del suo usufrutto).
Ultima Modifica: 31/08/2015