L’amministrazione delle società per azioni può, con le norme in vigore dal primo gennaio 2004, essere organizzata secondo tre modelli distinti: quello tradizionale, quello monistico (di derivazione anglosassone) e quello dualistico (di derivazione tedesca).
Nel modello tradizionale, agli amministratori è demandato il compito di gestire la società, e sono quindi dotati del potere di promuovere l’attività deliberativa dell’assemblea (potere d’iniziativa), di dare esecuzione alle decisioni dei soci (potere esecutivo), di deliberare sugli atti di gestione dell’impresa sociale (potere di gestione in senso stretto) e di manifestare all’esterno la volontà sociale agendo in nome e per conto della società (potere di rappresentanza).
La competenza gestoria attribuita agli amministratori ha carattere generale e ricomprende tutti gli atti necessari al conseguimento dell’oggetto sociale, che non siano espressamente riservati alla competenza di altri organi dalla legge o dall’atto costitutivo.
Il limite all’ampio potere così attribuito agli amministratori viene individuato nella finalizzazione della loro attività al perseguimento dell’interesse sociale, indipendentemente dalla distinzione fra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
Infatti, la distinzione tra atti di ordinaria ed atti di straordinaria amministrazione non ha ragion d’essere rispetto all’attività della società che è diretta alla produzione di un reddito e non alla conservazione del patrimonio, pertanto è sempre da considerarsi attività di ordinaria amministrazione: ciò che rileva è l’attinenza all’oggetto sociale dell’atto e non la sua rilevanza economica.
In virtù dei doveri di diligenza e correttezza nella gestione dell’impresa sociale, si ritiene inoltre che gli amministratori abbiano il dovere di sottoporre all’assemblea le decisioni relative ad operazioni che comportino notevoli trasformazioni nella struttura dell’impresa stessa, incidendo così sui diritti di partecipazione e sugli interessi patrimoniali dei soci.
All’organo amministrativo possono essere preposte una o più persone: in entrambi i casi l’organo amministrativo è unitario e, se gli amministratori sono più, essi fanno parte di un organo collegiale (consiglio di amministrazione) il quale sceglie tra i suoi membri un presidente, se questo non è già stato nominato dall’assemblea o dall’atto costitutivo. Il numero dei membri del consiglio di amministrazione è stabilito nell’atto costitutivo, che però può limitarsi ad indicare un numero minimo ed un numero massimo di amministratori.
In questo caso, compete all’assemblea ordinaria la determinazione in concreto del numero degli amministratori e la scelta di dotare la società di un solo amministratore o più, salvo che lo statuto non contenga già determinazioni al riguardo.
Qualora poi il consiglio di amministrazione di una società di capitali sia composto da due membri, esso adotta le deliberazioni all’unanimità.
Figura peculiare è il presidente del consiglio di amministrazione, che ha la tipica funzione di presiedere l’organo collegiale e così di dirigere le riunioni del consiglio, convocare il consiglio, controllare che il segretario rediga i verbali delle adunanze e delle deliberazioni sull’apposito libro. Talvolta il Presidente ha competenze gestorie, cumulandosi in tale ipotesi il ruolo di presidente e quello di amministratore delegato.
Fin qui il sistema tradizionale. Nel sistema dualistico, invece, le competenze gestorie sono affidate ad un consiglio di gestione, eletto dal consiglio di sorveglianza, che a sua volta è eletto dall’assemblea. Nel sistema monistico, la disciplina dell’amministrazione non incontra modifiche di rilievo: è piuttosto il sistema di controllo ad esserne pesantemente influenzato.