Con la ratifica ad opera della legge 16 ottobre 1989 n. 364 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 sulla legge applicabile ai trust (d’ora in poi citata come Conv. Aja), l’Italia ha "riconosciuto" come trust tutti "i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente - con atto tra vivi o mortis causa - qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico" (articolo 2, comma 1, Conv. Aja).
Si parla dunque di trust ogni qualvolta vi sia questo giuridico "posizionamento di beni" (assets placed o biens placès) under the control o sous le contrôle di un trustee, nel cui patrimonio i “beni del trust” bensì entrano, ma andando a costituire (articolo 2, comma 2, Conv. Aja), rispetto al suo patrimonio "generale", una massa distinta che il trustee ha il potere/dovere di amministrare (cioè gestire e/o disporre) secondo i dettami discendenti dalla legge scelta per la regolamentazione del trust (ai sensi dell’articolo 6 Conv. Aja) e dall’atto istitutivo.
Quindi sotto l’egida della Convenzione dell’Aja (e pertanto oggetto di necessario riconoscimento di lecita rilevanza da parte del nostro ordinamento giuridico) rientra qualsiasi rapporto che presenti la struttura sopra delineata, i cui elementi di tipicità (quali ricavabili dalla definizione normativa appena vista) sono pertanto:
a) la causa destinatoria, che consiste nel porre dei beni sotto il controllo del trustee perché questi li amministri al fine del conseguimento dello scopo dettato dal costituente;
b) la rilevanza funzionale della circostanza che sia il trustee ad avere il controllo di questi beni;
c) la natura unilaterale della volontà del costituente che istituisce il trust;
d) l’essenzialità dello scopo, che è quello di realizzare l’ interesse del beneficiario o di raggiungere un fine specifico.
Fino a poco tempo fa, tuttavia, sorgeva un pesante dilemma: se era pacifica la riconoscibilità in Italia e quindi la rilevanza nel nostro Paese di trusts istituiti altrove e afferenti a soggetti e a beni riferibili a Paesi in cui il trust ricevesse una specifica disciplina legislativa, non pacifica (perchè avversata da una corrente di pensiero bensì autorevole ma molto minoritaria) era la istituibilità in Italia (ovviamente, eleggendo come disciplina regolatrice del trust una legge di un Paese che si sia dotato di una legge sul trust: articolo 6, comma 1, primo periodo, Conv. Aja) di trusts cosiddetti "interni" e cioè riguardanti beni e soggetti caratterizzati da criteri di collegamento con il nostro Paese e quindi con un ordinamento giuridico non-trust (che cioè non dispone di una disciplina normativa inerente il trust).
In altri termini: se l’Italia con la convenzione dell’Aja si è vincolata a "riconoscere" trusts i cui elementi importanti (i soggetti, i beni, eccetera) siano connessi a Stati che disciplinano legislativamente o comunque il trust, non era scontato che un trust istituito in Italia, da e con soggetti italiani e riguardante beni "italiani" fosse altrettanto riconoscibile. Nel senso dell’ammissibilità deponeva peraltro l’assorbente rilievo secondo cui sarebbe stato implausibile ritenere che, negando cittadinanza ai trust "interni", certi effetti sarebbero così riconosciuti in Italia ad un trust dotato di sufficienti requisiti di internazionalità quando i medesimi effetti non sarebbero stati riconoscibili ad un trust "interno".
Ebbene, tutto questo dibattito ha avuto, da ultimo, un sussulto che non è sbagliato indicare come definitivo sdoganamento del trust nel nostro ordinamento: da un lato, una circolare del Consiglio Nazionale del Notariato ha riconosciuto, dopo un ampio a anche aspro dibattito interno dei notai, la validità del trust "interno" (non è che l’interpretazione notarile abbia un valore superiore alle altre, ma è comunque di grande rilevanza il pensiero di una categoria istituzionalmente vocata a garantire la liceità dell’attività giuridica da essa svolta). D’altro lato l’ introduzione nel Codice civile del nuovo articolo 2645-ter, che consente ora di "isolare" certi beni, nell’ ambito del patrimonio "generale" di un soggetto, per destinarli a fini ritenuti "meritevoli di tutela", definitivamente riconosce la ammissibilità dell’effetto "segregativo" che, con riferimento a determinati beni, il trust produce nel patrimonio del trustee.
Ultima Modifica: 10/02/2007