Secondo quanto prescrive testualmente l’articolo 2645-ter del Codice civile, per effetto della trascrizione dell’atto istitutivo di un vincolo di destinazione quest’ultimo diviene opponibile ai terzi, con la conseguenza che i beni “vincolati” e i loro frutti sono sottratti a qualsiasi azione esecutiva che non dipenda da debiti assunti proprio con riferimento al vincolo stesso. In altre parole, imprimendo ad alcuni beni un vincolo di destinazione, un soggetto dell’ordinamento può creare un patrimonio separato rispetto a quello “generale” di cui sia titolare. L’effetto di questo vincolo – una volta trascritto – è che i creditori del soggetto che ha impresso il vincolo di destinazione possono continuare ad aggredire il patrimonio del loro debitore secondo i principi generali, ma non invece i beni oggetto del vincolo, che restano così “isolati” dal patrimonio del debitore.
Anche prima dell’introduzione dell’articolo 2645-ter del Codice civile il nostro ordinamento non ignorava ipotesi di patrimoni separati: basta pensare al fondo patrimoniale (articoli 167 e seguenti del Codice civile), o al patrimonio destinato ad uno specifico affare (articoli 2447-bis e seguenti del Codice civile).
La differenza del vincolo di destinazione rispetto alle fattispecie già esistenti nel nostro ordinamento è però notevole. Diversamente dal fondo patrimoniale, strettamente collegato alla soddisfazione dei “bisogni della famiglia”, e dal patrimonio destinato al compimento di specifico affare della società, il vincolo di destinazione recentemente introdotto dal legislatore sembra infatti presupporre un’area applicativa estremamente ampia, il cui unico limite attualmente risiede nella natura dei beni che possono formarne oggetto (beni immobili o mobili registrati).
Non vi sono vincoli di natura soggettiva, posto che beneficiario del vincolo può essere non solo una persona con disabilità o una pubblica amministrazione, ma anche “altri enti o persone fisiche”, e cioè chiunque.
Non vi sono neppure particolari vincoli di scopo, dovendo questo coincidere con la realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’articolo 1322 del Codice civile, norma la cui interpretazione prevalente è nel senso che la meritevolezza di tutela viene meno solo laddove siano valicati i limiti della liceità, dell’ordine pubblico e del buon costume.
E’ dunque chiaro che una previsione legislativa così ampia non pare possa impedire che un soggetto si serva del vincolo di destinazione come strumento di protezione patrimoniale personale, similmente a quanto avviene nel cosiddetto “asset protecion trust”. Un soggetto potrebbe così creare, all’interno del proprio patrimonio, uno o più patrimoni separati, mettendoli al riparo da eventuali azioni esecutive dei debitori presenti e futuri. E se a tutela di questi ultimi è pur vero che esistono specifici strumenti – si pensi, ad esempio, all’azione di simulazione o all’azione revocatoria – non è detto che questi siano sempre sufficienti a garantire un’effettiva tutela delle loro ragioni di credito.
Il futuro dell’area di applicazione del vincolo di destinazione dipende dunque da come verrà interpretato l’ “interesse meritevole di tutela”. L’interpretazione più tradizionale conferisce all’istituto confini assai ampi, ma consente anche usi strumentali o, peggio, fraudolenti, il cui utilizzo potrebbe invece essere impedito da un’interpretazione più limitativa che muova dalla considerazione della dignità e del rilievo sociale degli interessi perseguiti.
Ultima Modifica: 10/02/2007