L’introduzione nel nostro ordinamento della norma sul vincolo di destinazione (il nuovo articolo 2645-ter del Codice civile) pone il problema di stabilire quale relazione vi sia tra questo nuovo strumento e il trust. I casi possibili sono due:
a) o il vincolo di destinazione si “affianca” al trust e entrambi questi istituti “corrono” separatamente, come su due binari paralleli;
b) o il vincolo di destinazione diventa in Italia ciò che il trust è negli ordinamenti nei quali vige una legge disciplinatrice del trust (e quindi si tratterebbe di un “assorbimento” del trust nel nuovo vincolo di destinazione).
E’ prevedibile che le discussioni circa la prevalenza dell’una o dell’altra opinione saranno lunghe e complicate e che, come capita per quasi tutte le questioni giuridiche di un certo spessore, non si arriverà facilmente a una soluzione condivisa.
Indubbiamente, innanzitutto, l’introduzione della norma sul vincolo di destinazione mette definitivamente fuori gioco quelle posizioni minoritarie di dottrina e giurisprudenza che non ammettevano i cosiddetti trust “interni”, e cioè i trust istituiti in Italia da soggetti italiani e con riferimento a beni situati in Italia. Chi ne negava l’ammissibilità, tra i vari argomenti, soprattutto metteva in evidenza, da un lato, come nel nostro ordinamento la istituzione di patrimoni separati (e cioè “l’isolamento” di certi beni dal patrimonio “generale” di un dato soggetto per “destinarli” a specifiche finalità) potesse avvenire solo in base a una specifica autorizzazione legislativa, ciò che nel caso del trust si riteneva non poter avvenire in quanto non si reputava allo scopo sufficiente la legge di ratifica della Convenzione dell’Aja; d’altro lato, sempre la ritenuta mancanza di una specifica previsione legislativa veniva intesa quale ostacolo alla effettuazione di trascrizioni nei Pubblici Registri delle attività giuridiche compiute in dipendenza dell’istituzione del trust (anche qui, chi sosteneva questa tesi ripeteva la non sufficienza della Convenzione dell’Aja quale legge capace di abilitare la trascrizione degli atti inerenti il trust nei Pubblici Registri italiani).
Ora dunque vi è comunque una certezza: si sovrapponga o meno il vincolo di destinazione al trust, diviene scontato che l’esistenza di una qualsiasi finalità meritevole di tutela autorizza, mediante la trascrizione di un atto pubblico nei Pubblici Registri, la formazione, nel patrimonio “generale” di un dato soggetto, di un’area patrimoniale “dedicata” al perseguimento di quella finalità e quindi separata dal restante patrimonio di quel soggetto; cessa pertanto ogni tipo di discussione in tema di istituzione di vincoli di destinazione e di trascrivibilità di detti atti nei registri di pubblicità.
Quanto al più generale tema della affiancabilità o della sovrapponibilità del trust all’atto di destinazione, dopo l’intervenuta introduzione di quest’ultimo nel Codice civile, non è facile raggiungere una conclusione: in prima battuta, ad esempio, si potrebbe ragionare sul tema dell’unilateralità dell’atto di destinazione (se Tizio intende vincolare certi suoi beni per determinate finalità meritevoli di tutela, all’atto istitutivo del vincolo partecipa solo lui e nessun altro) e, viceversa, sull’osservazione che lo schema classico del trust prevede il coinvolgimento di almeno due soggetti: il disponente che istituisce il trust e il trustee in capo al quale si realizza un’ intestazione di beni al fine del perseguimento di un certo scopo.
Ma potrebbe anche non trattarsi di una considerazione esaustiva: infatti, nulla appare impedire che il nuovo vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile, oltre che formarsi nel patrimonio di un dato soggetto per suo unilaterale volere, si formi pure nel patrimonio di un soggetto diverso (Tizio) che riceva un’attribuzione patrimoniale da un altro soggetto (Caio), con l’intesa che Tizio, in esecuzione del volere di Caio, vincoli i beni ricevuti al perseguimento di un dato scopo, con ciò isolandoli rispetto al suo “generale” patrimonio. Una situazione insomma ove la sovrapposizione con il trust sarebbe evidente.
Inoltre, è ormai acquisita (sempre da parte di chi ha ammesso il trust interno) la stipulabilità del cosiddetto trust autodichiarato, nel quale cioè il disponente nomina se stesso quale trusteee in vista della destinazione di un certo bene ad un determinato scopo e con ciò isolandolo dal restante suo patrimonio: e anche qui appare a chiunque che la differenza tra vincolo di destinazione istituito da un soggetto nel proprio patrimonio e trust autodichiarato è difficilmente intuibile.
Qualche elementi distintivi tra le due figure comunque resta: si pensi ad esempio al fatto che il vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter può effettuarsi solo per atto pubblico, mentre il trust, pur dovendo essere istituito per iscritto, non necessita di forma pubblica nè di autenticazione delle firme. Ancora, il vincolo di destinazione non può eccedere la durata di 90 anni oppure la vita del beneficiario, mentre sulla durata dei trust ogni legge regolatrice dice la sua.
Ultima Modifica: 10/02/2007