E’ a tutti noto che, a fini di (illecito) risparmio fiscale, spesso negli atti di compravendita si dichiara un prezzo inferiore a quello effettivamente pattuito (le imposte infatti si calcolano applicando una data percentuale al prezzo dichiarato).
Fermo restando che se il fisco si accorge del “nero” vengono comunque applicate pesanti sanzioni pecuniarie, per stabilire comunque quanto dichiarare nel rogito si fa spesso riferimento al “valore catastale” e cioè al valore che si ottiene moltiplicando la rendita catastale del fabbricato per certi coefficienti di aggiornamento.
Questa prassi si basa sulla considerazione che se si indica nel rogito un prezzo pari o superiore al “valore catastale” il fisco non può esplicare la cosiddetta “azione di accertamento di valore”: l’imposta di registro si basa infatti non tanto sul “prezzo” quanto sul “valore” dei beni trasferiti e, appunto, il fisco ha di regola il potere di controllare il valore dei beni e di pretendere la conseguente tassazione.
Questa azione è però appunto paralizzata, nel caso delle compravendite immobiliari, se viene superata la soglia del valore catastale, dichiarando un prezzo pari o superiore ad essa.
Tuttavia, come detto, un conto è l’accertamento di valore, altro conto è l’occultazione di corrispettivo: se il fisco accerta che esistono somme non dichiarate, scattano pesanti sanzioni.
Ultima Modifica: 04/07/2006