Il tentativo di ristrutturazione delle posizioni debitorie dell’impresa in crisi si scontra spesso con la estrema complessità delle negoziazioni da instaurare tra il debitore e le banche (e gli intermediari finanziari in generale, quali le società di leasing e di factoring, eccetera): è assai difficile, infatti, conciliare, in tempi brevi, le rispettive posizioni, anche perché il quadro dei rapporti in campo è frammentato e complicato da una pluralità di fattori, quali la numerosità degli istituti di credito coinvolti, l’entità e la tipologia della esposizione di ciascuno di essi, la loro differente propensione al rischio, la solidità delle garanzie di cui le varie banche siano dotate, la qualità e la durata del rapporto creditizio tra ciascuna banca e l’imprenditore in crisi, e così via.
Il legislatore ha dunque inteso dare un contributo alla soluzione di queste tematiche, con la finalità di accelerare i tempi della negoziazione e di facilitare il raggiungimento di un consenso vincolante per l’intero ceto bancario, integrando la disciplina “generale” dell’istituto degli accordi di ristrutturazione del debito (disciplinata dall’articolo 182-bis della legge fallimentare) ogniqualvolta l’esposizione dell’imprenditore verso banche e intermediari finanziari sia almeno pari al 50% del suo indebitamento complessivo. (... segue).
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Ultima Modifica: 01/03/2017